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Una fase dell'operazione Sahel

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Arrivavano fino a Milano i tentacoli delle nuove leve delle cosche cutresi sgominate con l’operazione Sahel


CUTRO – «Milano è dei cutresi». Una frase intimidatoria che la dice tutta sulla volontà espansionistica delle nuove leve delle cosche di Cutro, in un periodo di fibrillazione che è quello documentato dall’inchiesta che ha portato all’operazione Sahel. I carabinieri della Sezione operativa della Compagnia di Crotone e la Dda di Catanzaro hanno monitorato l’ascesa della famiglia Martino che stava attuando un disegno estorsivo rivolto non solo contro imprenditori di Cutro, Crotone e Catanzaro. I tentacoli si erano allungati anche su Lisseno, in provincia di Monza e Brianza, dove ha sede la ditta di Gianfranco Locci, Edilocci. La fama criminale della cosca Grande Aracri era arrivata anche in Lombardia, e da tempo, del resto. Carlo Verni, cognato del presunto promotore del gruppo criminale, Vito Martino, nelle intercettazioni parlava di appalti a Milano col coindagato Paolo Fiorentino pur non avendo i due imprese. Il progetto sembrava chiaro.

«MILANO È DEI CUTRESI»: MAZZETTE, NON LAVORI: I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE SAHEL

«Milano è casa nostra, basta che faccio una telefonata e ti faccio bloccare il lavoro… sto trovando altri lavori a Parma, Bologna, Roma… se vuoi lavorare devi seguire gli accordi miei». Dalla ricostruzione delle chat ad opera dei pm antimafia Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, coordinati dal procuratore Vincenzo Capomolla, sarebbe emerso che si parlava di “mazzette”. «Quale lavoro…». Il riferimento era al 10 per cento di un appalto che la vittima avrebbe potuto anche fatturare. Un euro al metro su un importo di 480mila euro. In tal caso però la pretesa era di 48mila euro più Iva e non 15mila euro come da sconto accordato. Verni, in una serie di conversazioni intercettate, simulerebbe il suo impegno in un affare edile a Milano. Si trattava di estorsioni, secondo l’accusa, anche perché le causali dei pagamenti sembrano poco comprensibili e coerenti.

Alla vittima il messaggio dev’essere arrivato chiaro. La fattura non era un problema. Ma bisognava mandare i soldi. «Stiamo parlando di lavoro… lo sai come si lavora? Vuoi stare tranquillo? Non sei a posto? Dov’è il problema? Ti stai creando un problema che non esiste. Manda questi soldi che poi quando salgo, bello bello, giustifichiamo. Se vuoi le fatture te le faccio».

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