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Nicolino Grande Aracri

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Le reazioni e lo scompiglio creato all’interno del clan dalla notizia del pentimento, poi rivelatosi finto, del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri


CUTRO – Stupore, disappunto, turbamento. Sono le reazioni che suscitò nella cosca di Cutro il pentimento (poi rivelatosi una farsa) del boss Nicolino Grande Aracri. Uno dei suoi fedelissimi, Vito Martino, storico componente del gruppo di fuoco della cosca, lo chiamava «papà». «Ci siamo fidati», diceva, del «pazzo nostro». Il 7 maggio 2021, pochi giorni dopo che il Quotidiano aveva pubblicato in esclusiva la notizia del tentativo di collaborazione con la giustizia che mandò in fibrillazione anche le cosche di ‘ndrangheta sparse in tutta Italia, Vito Martino ne parlava in carcere con la moglie Veneranda Verni, col figlio Francesco, con uno degli affiliati di peso come Salvatore Peta.

Gli screenshots delle videochiamate in carcere finivano qualche volta su Tik Tok, perché il volto nuovo della ‘ndrangheta cutrese è più social. Da lì parte il tentativo di riorganizzare le nuove leve, essendo ormai spogliato del suo ruolo il capocrimine ergastolano che perde prestigio dopo la sua scelta. Una fase monitorata dai carabinieri della Sezione operativa della Compagnia di Crotone che, coordinati dal procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro Vincenzo Capomolla e dai sostituti Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, hanno eseguito l’operazione Sahel, 31 misure cautelari (15 in carcere, 7 ai domiciliari e 9 all’obbligo di dimora) su ordine della gip Chiara Esposito.

Una fase nuova. «Siamo a un altro libro», dice Veneranda Verni durante un colloquio intercettato, che confermerebbe la volontà di distacco dai Grande Aracri. La delusione era grande. «La gente gli ha dato la vita, come mio cognato», dice Carlo Verni, lamentando che il tradimento veniva proprio da colui che ha dato agli affiliati gli “insegnamenti” di ‘ndrangheta.

TERRA BRUCIATA DOPO IL (FINTO) PENTIMENTO DI NICOLINO GRANDE ARACRI

In quel vuoto di potere aveva tentato di inserirsi il boss di Papanice Domenico Megna, che approfittava dello scontro tra i Martino col clan contrapposto dei Ciampà per la spartizione del territorio. Gli mandano a dire che per “le cose di Cutro” se la sarebbero vista loro, ma si rischiava una guerra di ‘ndrangheta. Che fosse in atto una riorganizzazione degli assetti mafiosi sarebbe confermato da una conversazione intercettata nel corso della quale uno degli indagati, Antonio Colacino, teme per la propria incolumità perché la scelta del boss rischiava di fare terra bruciata intorno al clan.

«Ora che Mano di gomma (nomignolo di Grande Aracri, ndr) ha fatto questa azione, non mi fido di andare a Mesoraca, Petilia o Papanice e sempre mi guardo. Adesso che ci ha tradito dobbiamo aspettare qualcuno che si prenda la responsabilità. Mi sto a casa bello tranquillo per il momento». Il clan è disorientato, ma qualcuno pensa a nuovi affari. Salvatore Martino: «devo fare il chiosco coi panini, devo andare al Comune e rompergli il culo, mi devono dare un pezzo di spiaggia, mettiamo un centinaio di ombrelloni, ci vuole un geometra con le palle, tu metti le case, facciamo 50 e 50 e a noi ci restano i bungalow».

LE REAZIONI ALLA NOTIZIA DEL PENTIMENTO DI NICOLINO GRANDE ARACRI: L’INCENDIO E LO SCOMPIGLIO

L’attrito con i Megna si sarebbe acuito poiché Francesco Martino, poi redarguito dalla madre, avrebbe detto una parola “di troppo” durante un incontro con il boss Megna e la figlia a Papanice. La donna diceva al marito che li aveva “sfidati” anziché portare “rispetto”. Non è un caso che l’auto Lancia “Y” di Francesco Martino verrà incendiata sotto casa, il 28 dicembre 2021. Ormai è lo scompiglio. «Ci succede qualcosa», dice la donna. In un colloquio intercettato i fratelli Martino e la madre ipotizzano che il mandante sarebbe stato Megna per inviare un segnale di forza e dimostrare la volontà di annettere Cutro al suo comando troncando sul nascere i tentativi espansionistici. «Ci vogliono comandare». Antonio Colacino ammette che i Megna in quella fase sono troppo forti, come dimostrerà l’operazione Glicine Acheronte successivamente, e non conviene aprire un fronte di guerra.

FRONTE DI GUERRA

«E io devo combattere un’altra guerra? Non me ne è bastata una? Mi arriva tutta la squadra qua. Di nuovo ammazziamo, scanniamo, tiriamo?» A parlare era sempre Veneranda Verni che teme che la scarcerazione del marito possa dare la stura alla ripresa dei contrasti tra cosche a Cutro e rievoca gli anni di piombo, durante i quali il coniuge, Vito Martino, ebbe un ruolo da protagonista essendo stato uno dei componenti del gruppo di fuoco della famiglia Grande Aracri. Mentre ricorda che una guerra di mafia le è bastata, ride.

“BUONA FORTUNA”

Il 7 febbraio avverrà l’incontro di chiarimento, a Papanice, tra il boss Megna, Francesco e Salvatore Martino e Salvatore Peta. I figli aggiornano il padre nell’incontro dell’11 febbraio in carcere. L’espressione “Buona fortuna” rivolta da Megna ai figli di Martino al termine dell’incontro non piace al detenuto. Secondo i figli però significa “ti auguro il meglio”. Megna comunque non avrebbe preso una decisione netta sul rapporto che i Martino avrebbero dovuto tenere con i Ciampà, nipoti del rivale storico di Grande Aracri, il boss Antonio Dragone, i quali avevano rialzato la testa dopo che la loro famiglia è stata quasi interamente sterminata.

Che qualcosa fosse mutato dopo il pentimento di Grande Aracri, lo si evincerebbe anche da un colloquio durante il quale i fratelli Martino evidenziano che non comanda più lui. Il boss papaniciaro non voleva immischiarsi ma nel clan cutrese sono certi che ad appiccare l’incendio siano stati i Ciampà su mandato di Megna. «Vedi che è tutto sistemato», sarebbe stato l’esito del vertice in presenza di colui che ormai aveva acquisito una posizione di supremazia negli ambienti della criminalità organizzata locale. Ma se ci fosse stato il “pari suo”, cioè Grande Aracri, osserva Veneranda Verni, tutto ciò non sarebbe accaduto.

SITUAZIONE FLUIDA

Insomma, in quella situazione fluida poteva accadere di tutto. Per esempio, che uno dei figli di Vito Martino si appropriasse di 10mila euro della bacinella del clan che era no destinati al pagamento di spese legali della moglie del boss Grande Aracri, Giuseppina Mauro, che era stata arrestata nell’operazione Farma Business.

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