Mario Gigliotti
2 minuti per la letturaColpo di scena al processo sulla mafia dei boschi: forse in seguito a minacce Mario Gigliotti, ex boss di Petronà, si pente di essersi pentito
CATANZARO – «Non sono un collaboratore di giustizia. Fatelo sapere alla stampa». Si è pentito di essersi pentito, Mario Gigliotti, presunto reggente del clan Carpino di Petronà che aveva iniziato a fare rivelazioni sulla mafia dei boschi di cui è stato un pezzo da novanta. Nuovo colpo di scena nel corso dell’udienza preliminare a carico di 71 persone scaturita dall’inchiesta che nel settembre scorso portò all’operazione Karpanthos.
A viso scoperto, collegato da un sito remoto in videoconferenza, nel giorno in cui è stato acquisito dal gup Mario Santoemma, che ha respinto le eccezioni difensive, il “verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione” reso da Gigliotti il 9 gennaio scorso dinanzi al procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro facente funzioni, Vincenzo Capomolla, e alla sostituta Veronica Calcagno, l’imputato ha sentito il bisogno di fare una precisazione sul suo status. Forse, sono state rivolte minacce ai suoi familiari per indurlo a ritrattare, ma gli inquirenti non lasciano trapelare molto e sul caso c’è massimo riserbo.
MAFIA DEI BOSCHI, IL BOSS GIGLIOTTI FA MARCIA INDIETRO
Nei giorni scorsi, il Quotidiano aveva riferito delle sue prime “cantate”. Con particolare riguardo al ruolo attivo che Gigliotti avrebbe avuto nella pax con la famiglia contrapposta dei Bubbo, partecipando al summit convocato dalla cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, e all’incarico di “referente” su Catanzaro delle cosche della Sila, conferitogli dal “capo” della montagna, Mario Donato Ferrazzo, il boss di Mesoraca.
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Cosa potrebbe aver indotto Gigliotti a fare marcia indietro? Questo e altri interrogativi restano in piedi ma sicuramente troveranno risposta nel prosieguo del procedimento. Dopo il pentito Domenico Colosimo, killer della cosca Carpino di Petronà, aveva intrapreso un percorso di collaborazione con la giustizia Mario Gigliotti, e sta rendendo interrogatori alla Dda di Catanzaro anche Vincenzo Antonio Iervasi, il capo del gruppo criminale attivo nella vicina Cerva, dove il Comune è stato da poco sciolto per mafia.
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Sembrava un effetto domino. Gigliotti potrebbe sapere molto sulla faida che per trent’anni ha insanguinato la Sila catanzarese ma questa parte dei racconti è omissata. Il primo verbale, ormai entrato nel procedimento, è incentrato sulle estorsioni, anche nel settore eolico, e sul suo ruolo nella pacificazione imposta dagli isolitani. Ma anche sulla nuova geografia mafiosa della montagna, con in cima il boss di Mesoraca. Il gup ha poi ammesso le costituzioni di parte civile dei Comuni di Petronà e Cerva, di Poste italiane, Agenzia delle entrate e ministero degli Interni.
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