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Massimo Rosi, presunto nuovo reggente del “locale” di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo, durante gli incontri con i suoi uomini

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CIRÒ MARINA – Massimo Rosi, il presunto capo società del “locale” di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo, ritenuto dalla Dda di Milano il principale fautore dell’alleanza tra le mafie in terra lombarda – anche se il gip Tommaso Perna non ci crede – era in cerca di finanziamenti per i lavori da attuare con le agevolazioni previste dal cosiddetto “Ecobonus”.

Per questo ottenne un incontro con l’ex deputato leghista Cesare Donina (non indagato). La riunione si tenne a Palazzolo sull’Oglio, in provincia di Brescia, nel marzo 2019. Il presunto reggente dell’articolazione al Nord della cosca cirotana dei Farao Marincola ne parlava in una conversazione intercettata. «Ho un appuntamento con un onorevole che conoscevo… ho trovato in giro… vediamo se riesce a farmi entrare nella banca per fare fare i finanziamenti della centodieci».

Secondo Rosi, che voleva avvicinare «qualche direttore di banca», il politico era «un biglietto da visita che ci apre le porte su dei lavori puliti, onorati e onesti». Stando a quanto emerso dall’ascolto delle intercettazioni ambientali, l’esponente politico avrebbe fatto da intermediario per la fornitura di guanti in nitrile in piena emergenza pandemica.

In particolare, secondo quanto affermato da uno dei partecipanti alla riunione, Attilio Nuscis, uno già denunciato per bancarotta fraudolenta e condannato a 1 anno per omessa dichiarazione, quest’ultimo sarebbe riuscito a reperire il prodotto tramite una non meglio identificata senatrice, che ne avrebbe curato l’importazione. Ma perché Rosi aveva bisogno di un direttore di banca?

«No, no, io non ho bisogno di impresa attenzione. Io ho bisogno di chi finanzia, che sia banca, che sia Efficienza Rete, come noi abbiamo anche in mano la Enel Gas, questo sono le grosse imprese che finanziano…Io vendo a credito, poi tu Enel Gas, Ital Gas, tutte queste…è questo il passaggio, così almeno mi faccio capire meglio, cioè in poche parole io devo avere 10 milioni, 100 milioni, 20 milioni allo Stato, fino a quando son piccolini ci andiamo a comprare la macchina, ci andiamo a comprare qualcosa dentro l’ufficio, quando sono milioni di euro che ti compri un’altra azienda? non serve.

Allora lo Stato cosa si è inventato, a parte che serve essere in green, l’aria pulita, perché il consumo qual è? Se uno ha una casa che non ha un cappotto, ti metti 20 gradi, vai avanti a mettere 20 gradi per ore, invece con il cappotto metti 20 gradi e ti rimane 23, 24 gradi in casa e non consumi e non (inc.), cosa succede? Queste aziende qua, per loro è tutto un giro di soldi, invece di darli a te Stato, io mi compro il credito, me lo prendo in cinque anni e così…Questo è il meccanismo».

Rosi svela che in Calabria come in Sicilia problemi con le banche la loro organizzazione non ne ha. «Non ti preoccupare, in Calabria, quello che è nostro è nostro, e quello che è degli altri è degli altri, e in Sicilia è la stessa cosa, non ti preoccupare, se ce li hai sulla banca te li dò, nessuno viene a discutere, se vuoi quel prezzo, quello e quell’altro».

In Calabria ci sono anche professionisti a disposizione del clan. «Ce n’è tantissimo lavoro, ho anche lì dei geometri e degli architetti, che, se avete problemi di efficiente rete, incontratevi con questo direttore di banca, vi danno quello che vi spetta, però non è che deve fare un imbroglio, attenzione». Dell’incontro col politico leghista Rosi discorre anche con Gioacchino Amico. La presunta organizzazione criminale avrebbe il suo fulcro nel Milanese proprio nell’imprenditore siciliano Amico.

«Di fatto stiamo assieme», dice Rosi di lui. Poi si accorda con il geometra Giuseppe D’Elia per recarsi all’incontro utilizzando un’altra autovettura, da ritirare presso il parcheggio dove vengono custodite abitualmente le autovetture a noleggio della Servizi Integrati srl, definito da Rosi «Il nostro lavaggio».

Gli sviluppi successivi non sono positivi. Rosi mostra a un suo interlocutore i messaggi di una senatrice che definisce il collega come poco affidabile perché a suo carico ci sarebbero varie “denunce”. Tant’è che «comunque al prossimo giro questo qua il Felpa lo lascia a casina! Un utile idiota sacrificabile». Il “Felpa” sarebbe il leader leghista Matteo Salvini. Ma i contatti con Donina vanno avanti. Nuscis a un certo punto mette al corrente Rosi della positività al Covid del politico, ma anche della disponibilità di finanziamenti. «Dice “poi la sfiga che non sono andato giù a Roma” che lui conosce proprio il cda delle Poste Italiane».

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