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Il collaboratore di Giustizia Nicola Acri

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Nuova luce sull’omicidio di Natale Bruno avvenuto a Cirò nel 2004, i pentiti spiegano come anche i reggenti di ‘ndrangheta quando sbagliano rischiano di essere uccisi

CIRÒ MARINA – L’ultimo tassello lo aggiunge il pentito Nicola Acri, l’ex killer rossanese soprannominato “Occhi di ghiaccio”, e potrebbe contribuire a fare luce su uno dei delitti interni al “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, uno dei fatti di sangue che periodicamente si registrano per l’avvicendamento al vertice, o, meglio, alla reggenza. Già, perché da oltre una trentina d’anni il comando resterebbe sempre in capo ai fratelli Giuseppe e Silvio Farao e a Cataldo Marincola che, essendo detenuti, affidano a dei plenipotenziari la guida del clan.

Ma qualcuno dei reggenti commette sempre qualche errore e scatta l’operazione di “pulizia interna”, come la chiamano alcuni pentiti. Acri, in particolare, in uno dei verbali confluiti nell’ordinanza di custodia cautelare con cui sono stati ricostruiti due delitti compiuti oltre 20 anni fa nella Sibaritide, racconta un summit svoltosi alla presenza di Marincola, forse il vero leader carismatico dell’organizzazione criminale che storicamente ha influenza anche sul Cosentino jonico. E viene fuori un interessante retroscena dell’omicidio di Natale Bruno, assassinato il 13 settembre 2004 a Cirò. Un delitto per compiere il quale sarebbero entrati in azione killer “marcedusani”.

‘NDRANGHETA, NUOVA LUCE SULL’OMICIDIO DI NATALE BRUNO

Ma viene fuori anche la politica criminale ambigua che Marincola attribuisce a Bruno. Ecco un passaggio del verbale. «Da lì a poco venne scarcerato Cataldo Marincola. Cataldo tentò di contattarmi a Rossano insieme a Ciccio Castellano, persona di cui lui si fidava. Ricordo che sin dopo la sua scarcerazione Cataldo cercò di informarsi di tutte le vicende del locale cirotano durante fa sua assenza… convocò una riunione a Cirò superiore… convocò me, Luca Megna, Pino Arena figlio di Nicola, Fabrizio Arena e Giovanni Trapasso. Furono i Megna a dirmi di questa riunione. Ricordo che Luca Megna mi disse di andare insieme.
Arrivati a Cirò superiore Cicio Castellano mi condusse in un appartamento a Cirò superiore, nel centro storico: lì trovammo Cataldo Marincola, Cenzo Pirillo e Giuseppe Farao. Non ricordo se c’era il fratello Silvio. ln quella occasione discutemmo di tutte le problematiche e delle ambiguità che il crimine cirotano aveva creato con i suoi alleati: la vicinanza con i Forastefano e l’allontanamento dagli zingari; l’utilizzo dei marcedusani nell’omicidio di Bruno Natale e la mancanza di chiarezza dei cirotani nell’appoggiare gli Arena ed i Trapasso nelle faide con i cutresi. Ricordo che Cataldo Marincola ascoltava tutti intervenendo poco nella discussione. Ricordo anche che in queste discussioni attribuiva la colpa delle incomprensioni alle precedenti scelte fatte da Bruno».

Non è dato sapere i dettagli, ma a quanto pare durante il vertice di ‘ndrangheta – al quale parteciparono alcuni pezzi da novanta delle cosche che su questa terra non ci sono più come Pino Arena, Luca Megna, Vincenzo Pirillo, fagocitati dalle faide degli anni successivi – Marincola se la piglia con Bruno, attribuendogli varie pecche gestionali.

LA PROCURA MIRA AD APPROFONDIRE I VARI ELEMENTI EMERSI

Elementi che i pm della Dda di Catanzaro ritengono, probabilmente, meritevoli di approfondimenti. E che sembrano ricondurre a una legge che i Farao-Marincola fanno, da sempre, rispettare con il piombo. Prima uccidendo Nicodemo Aloe (1987) e subentrandogli al comando, poi con l’eliminazione dei reggenti che “sbagliano”. In questa serie nera sarebbero da inquadrare l’agguato del 2004 a Natale Bruno, quello del 2006 ad Antonio Fortino, infine l’omicidio di Vincenzo Pirillo, freddato la sera del 5 agosto 2007 nel ristorante Ekò in una strage nella quale resteranno ferite altre sei persone, compresa una bambina di 11 anni.

Nel processo per l’omicidio Pirillo, l’ultimo della serie di pentiti del “locale” di Cirò, Gaetano Aloe, si è autoaccusato di essere stato l’esecutore materiale perché la vittima era ritenuta responsabile dell’uccisione di suo padre Nicodemo. Ma non è l’unico fatto di sangue di cui il collaboratore di giustizia si accusa. Aloe si attribuisce anche il delitto Fortino. E in uno dei primi verbali di collaborazione si scusa con gli inquirenti per aver inizialmente “minimizzato” il ruolo dei cognati Giuseppe Spagnolo e Martino Cariati nel delitto Bruno. Adesso viene fuori che anche Acri sa qualcosa sull’uccisione di Bruno. Qualcosa che potrebbe giustapporsi a quello che dice un altro pentito, Francesco Farao, figlio di Giuseppe, che sostiene che Bruno fu ucciso perché mandava pochi soldi alle famiglie dei detenuti.

L’APPOGGIO DELLA ‘NDRINA DI MARCEDUSA

In particolare, Acri parla dell’appoggio della ‘ndrina di Marcedusa, centro del Catanzarese da cui proviene il boss Franco Trovato, uno dei capi della ‘ndrangheta lombarda, storico alleato del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, che nella fase immediatamente successiva a quella ripercorsa dal pentito Acri sarebbe divenuto capo crimine, spodestando i cirotani e allargando i confini del regno trasformato in una “provincia”. E proprio prima di questa ridefinizione della geografia mafiosa, il mammasantissima di Cutro avrebbe spinto per la pax. Parola di Acri. «A conclusione di questa riunione ricordo che Marincola disse ai presenti di avere avuto contatti con i Grande Aracri ed i Nicoscia: questi erano disposti a fare fa pace con la garanzia del crimine cirotano. Ricordo che sia i membri della famiglia Arena e i Megna acconsentirono alla possibilità di addivenire ad una pace riservandosi però di parlare della cosa con le loro famiglie».

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