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indagati monitorati nel corso delle indagini

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Sono diversi gli scorci sulle dinamiche criminali dell’area della Presila aperti dall’operazione Karpanthos, ecco come si scelse il boss della montagna

PETRONÀ – Era un uomo dei Grande Aracri di Cutro colui che venne indicato come il “boss della montagna”. Eppure stava per rischiare la vita. Nel bel mezzo di uno dei summit tenutisi a Isola Capo Rizzuto, Giuseppe Rocca, che peraltro, come si evince da una serie di dialoghi intercettati, poteva essere “sacrificato” per il raggiungimento della pax tra le famiglie mafiose dei Carpino e dei Bubbo di Petronà, viene additato da Vincenzo Antonio Iervasi come l’unico in grado di assumere il comando delle ‘ndrine della Presila catanzarese.

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«Per conto mio il boss della montagna lo deve fare solo lui». Almeno questo è il resoconto della riunione di ‘ndrangheta che lo stesso Rocca, consapevole del pericolo che in quella fase storica – siamo nel 2006 – correva, fa alla sua convivente, prima di comunicarle che «novantanove per cento è pace». Indicato, nelle carte dell’inchiesta che l’altra notte ha portato all’operazione Karpanthos, come un esponente di vertice della cosca di Petronà, i pentiti lo considerano uno dei più determinati nel voler vendicare l’uccisione di Alberto Carpino e come uno degli autori dell’omicidio di Eugenio Gentile, uomo della fazione avversa dei Bubbo. Ma anche come uno dei più attivi nelle estorsioni compiute nel territorio e tra i partecipi ai riti di affiliazione. In effetti, né Rocca, né un altro dead man walking come Mario Gigliotti, stando alle intercettazioni poco rassicuranti captate nel periodo transitorio che precedette la pacificazione, vennero assassinati.

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KARPANTHOS, CHI È ROCCA, BOSS DELLA MONTAGNA

Rocca, in particolare, era già balzato all’attenzione nell’inchiesta Kyterion, quella che consacrò la figura del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri come il capo indiscusso di una nuova “provincia” di ‘ndrangheta. Rocca emerge come esponente del clan di Petronà, con influenza criminale anche su Cerva, dove ha sede l’azienda di torrefazione “Montano Caffè”. Egli, infatti, era stato coinvolto da Roberto Corapi per la risoluzione di un contrasto con Roberto De Palma per la commercializzazione del caffè.

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“La vicenda De Palma”, è il titolo di un capitolo del filone catanzarese dell’inchiesta madre contro la super cosca di Cutro. Non era una semplice faccenda commerciale. In quanto Corapi – condannato per mafia in via definitiva insieme a Gennaro Mellea, referente catanzarese dei Grande Aracri – fece valere il suo potere intimidatorio vietando a De Palma di comprare il caffè da un altro fornitore. Ma De Palma per parlare da “pari a pari” si rivolse anche lui al “mafioso della zona”, ovvero Rocca – citiamo sempre la sentenza – perché parlasse con Corapi. Alla fine De Palma viene costretto a comprare le forniture di caffè a prezzo maggiorato da Corapi. Come deciso nel corso di un pranzo tra i due e Rocca, a Petronà.

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