Gaetano Aloe
INDICE DEI CONTENUTI
- 1 ‘NDRANGHETA, IL PENTITO ALOE TIRA IN BALLO I POLITICI A CIRÒ
- 2 NON SOLO I POLITICI, LA ‘NDRANGHETA TENEVA SOTTO SCACCO GLI IMPRENDITORI DI CIRÒ
- 3 LE RIVELAZIONI SUGLI IMPUTATI DELL’OPERAZIONE STIGE
- 4 LE ATTIVITÀ DEL CLAN FUORI DAL TERRITORIO CIROTANO
- 5 ‘NDRANGHETA A CIRÒ, GLI INTRECCI TRA I POLITICI E L’IMPRENDITORIA
Il pentito di ‘ndrangheta Gaetano Aloe prosegue con le sue rivelazioni e tira in ballo i politici e gli imprenditori nel territorio di Cirò e Cirò Marina e non solo
CIRÒ (CROTONE) – «La cosca cirotana ha sempre controllato le elezioni comunali a Cirò e Cirò Marina». Il nuovo pentito del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, Gaetano Aloe, tira in ballo pure la zona grigia, i politici, perché «i contatti con gli aspiranti sindaci e i candidati venivano avviati dai vertici del clan, nelle persone di Pino Sestito, Salvatore Morrone e Vittorio Farao». Le nuove accuse, riversate nel processo d’Appello scaturito dall’inchiesta che nel gennaio 2018 portò alla maxi operazione Stige, filone del rito ordinario, sono contro due imputati eccellenti, gli ex sindaci di Cirò Marina Roberto Siciliani e Nicodemo Parrilla, a dire del collaboratore di giustizia sostenuti dal clan.
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«Prima erano insieme politicamente, sono anche compari. Ma dopo un po’ Siciliani ha litigato con Pino Sestito per il fatto che ha licenziato sua sorella. A quel punto Parrilla, approfittando della situazione, ha dato in gestione a Felicia Sestito (peraltro moglie del boss Cataldo Marincola, ndr) il proprio agriturismo, “Donna Germana”, e si è staccato da Siciliani. Per tale motivo, nell’ultima tornata elettorale precedente agli arresti di Stige, Sestito, Morrone, Farao e mio cognato Peppe Spagnolo hanno appoggiato la candidatura di Parrilla prendendo accordi direttamente con lui».
‘NDRANGHETA, IL PENTITO ALOE TIRA IN BALLO I POLITICI A CIRÒ
Aloe, messo sotto torchio dal pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio, spiega il meccanismo a quanto pare rodato a Cirò e Cirò Marina, due Comuni già sciolti per infiltrazioni mafiose (il secondo proprio in seguito all’arresto dell’ex sindaco Parrilla). «Il condizionamento elettorale a Cirò e Cirò Marina avviene tramite la raccolta di voti casa per casa, a cui io stesso ho partecipato promettendo posti di lavoro e benefici soprattutto alle famiglie più numerose».
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L’ex super assessore ai Lavori pubblici Giuseppe Berardi sarebbe stato scelto direttamente da Vittorio Farao, figlio di Silvio, uno dei capi ergastolani della cosca Farao Marincola: «la cosca – spiega il pentito – lo ha sempre sostenuto in ogni elezione, anche quando ciascuno di noi doveva sostenere altri candidati». L’accordo con i candidati sindaci prevedeva «la necessità di far svolgere i lavori comunali da imprenditori da noi scelti, facendo in modo che il Comune fosse appannaggio della consorteria. Non erano solo gli esponenti politici ad essere vicini alla cosca – precisa Aloe – ma anche i dipendenti comunali».
Ce n’è, dunque, anche per il dirigente Mario Patanisi che «ha assentito la costruzione di molti immobili di Tonino Anania in cambio di soldi», mentre il ragioniere Salvatore Morrone «pagava fatture inesistenti». Il figlio di Morrone, Santino, sempre secondo il pentito, «lavorava fittiziamente alla Montesano catering (già destinataria di interdittiva, ndr) che svolgeva il servizio mensa a Cirò Marina. Santino in realtà non lavorava, lavorava saltuariamente e portava il pane di Salvatore Morrone (altro imputato di spicco, ndr), facendo beneficiare il “biondo” (suo nomignolo, ndr) dell’accordo corruttivo».
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NON SOLO I POLITICI, LA ‘NDRANGHETA TENEVA SOTTO SCACCO GLI IMPRENDITORI DI CIRÒ
Ma il monopolio del clan era in tutti i settori dell’economia, dagli appalti ai rifiuti, dal vino alla ristorazione, dalle pompe funebri alle lavanderie. L’imprenditore di Botricello Natale Aiello, altro imputato, titolare di un noto bar? «Legato a Sestito, facevano affari insieme». Antonio Bevilacqua, imprenditore dei rifiuti anch’egli imputato? «Legato alla nostra consorteria tramite l’assunzione di Vittorio Farao, ha avuto la possibilità così di espandersi nel territorio, per lui Farao ha impattato le pretese di Nicolino Grande Aracri».
Il riferimento è a un appalto a Cutro e all’imposizione di altre ditte di riferimento da parte del boss Grande Aracri. A Grande Aracri, sempre secondo Aloe, erano «legati» gli imprenditori boschivi Spadafora di San Giovanni in Fiore, chesi sarebbero “fregiati” anche della protezione di Vincenzo Santoro, imposto come referente in Sila dal boss Cataldo Marincola. Longa manus del clan nel business dei migranti sarebbe stato, invece, Aniello Esposito, ulteriore imputato di Stige. «La casa di cura S. Antonio è stata rilevata da Salvatore Siena» ma avrebbero avuto interessi anche i suoi cognati Giuseppe Spagnolo e Martino Cariati che «per un periodo hanno gestito la mensa tramite Vittorio Bombardiere».
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LE RIVELAZIONI SUGLI IMPUTATI DELL’OPERAZIONE STIGE
Sono tutti imputati di Stige, quelli su cui il pm fa domande, ma molte pagine del verbale sono omissate. Di Fabrizio Anania il pentito sa che «è in società nella sala giochi Snai di Cirò Marina con Salvatore Morrone» e che nell’affare avrebbero investito denaro Vittorio Farao e Francesco Castellano. Vincenzo Barbieri, «uomo d’onore da parecchio tempo», viene indicato come referente in Germania del clan, e avrebbe favorito la latitanza di Marincola. «Qualsiasi cosa succede in Germania, qualsiasi problema possa accedere fra i ristoratori, ad esempio, interviene a risolverlo. Il suo gruppo è composto da Giuseppe Bruno, Pierino Vasamì, Cenzo Mancuso, Peppe Secreto, i fratelli Mario e Nicodemo». In terra tedesca uno degli affari era quello del vino, e per imporne la vendita, a dire del pentito, Vittorio Farao, Ciccio Castellano e Pasquale Malena, quest’ultimo tra i titolari dell’omonima cantina, si sarebbero appoggiati appunto a Barbieri.
LE ATTIVITÀ DEL CLAN FUORI DAL TERRITORIO CIROTANO
Tra gli esponenti attivi in Germania nel campo degli stupefacenti Aloe indica Francesco Amantea. In Germania avrebbero operato per conto del clan anche Francesco Basta e Mimmo Paletta, «quest’ultimo tornato a Cirò dove lavora al Comune». Qualcosa il pentito saprebbe anche su Mario Lavorato, detto il “capobanda”, in Assia influente anche attraverso l’Armig (l’associazione dei ristoratori mandatoriccesi in Germania).
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«In Germania possiede diversi ristoranti e in Calabria un villaggio, queste attività le ha sviluppate con i Farao che ne beneficiano come fossero i proprietari. Mi consta personalmente – dice – in quanto una volta siamo andati a Stoccarda io, Cenzo Farao figlio di Giuseppe (capo storico del clan, ndr), mio cognato Spagnolo. Cenzo si comportava come fosse il proprietario dei beni di Lavorato. Si è preso una Passat grigia senza pagare e ha fatto avere a mio cognato una Polo azzurra. Lo zio di Cenzo, insieme a Lavorato, hanno acquistato un ristorante enorme in Germania, chiaramente con i soldi di Giuseppe».
Ma dietro il villaggio di Lavorato a Mandatoriccio ci sarebbe sempre l’ombra dei Farao, anzi la loro “proprietà” di fatto. Il “Castello” di Nicola Flotta? «È come se fosse proprietà dei Farao, Flotta consegna annualmente 20mila euro a Giuseppe Farao». Mario Campiso, invece, si occuperebbe di truffe a Perugia, zona di proiezione del clan, ma «ultimamente in Germania vendeva il vino di Spagnolo e Sestito».
‘NDRANGHETA A CIRÒ, GLI INTRECCI TRA I POLITICI E L’IMPRENDITORIA
L’ex consigliere comunale Dino Carluccio sarebbe «prestanome di Salvatore Morrone, avevano aperto un’agenzia di pompe funebri sbaragliando la concorrenza, impedendo con minacce agli altri di lavorare». Il business di Giuseppe Farao, figlio di Silvio, invece, era quello delle lavanderie, servizio che avrebbe imposto anche a grossi villaggi turistici. Il pentito lo sa perché l’attività sarebbe stata all’origine di truffe da lui escogitate con la sua fabbrica di riciclo di materiale plastico insieme a Sestito.
Accuse che potrebbero far riaprire l’istruttoria nel processo che volge alle battute finali. Il pm Guarascio, applicato anche in Appello, aveva già chiesto la conferma di pene per sei secoli. Ma c’è un precedente, su cui fanno leva le difese, e in particolare l’avvocato Gianni Russano, perché la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha respinto un’analoga richiesta del pg di Milano, basata sempre sulle “cantate” di Aloe, nel processo per l’omicidio di Cataldo Aloisio compiuto a Legnano. In quel caso l’accusa, che chiedeva cinque ergastoli prima del sopravvenuto pentimento, non ha ottenuto l’ammissione dei verbali, per mancanza del principio di “assoluta necessità”, come hanno stabilito i giudici lombardi con un’ordinanza.
Aloe, intanto, sta mantenendo il suo proposito, annunciato con una telefonata alla redazione del Quotidiano. Suo padre, il vecchio boss Nicodemo Aloe – disse al cronista – creò la ‘ndrangheta a Cirò; lui, invece, la distruggerà.
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