Gaetano Aloe
3 minuti per la letturaIl neo pentito di ‘ndrangheta Gaetano Aloe continua a fare rivelazioni sulla ‘ndrangheta di Cirò Marina e si autoaccusa di un omicidio
CIRÒ MARINA – Quando i cronisti calabresi scrivevano, nel gennaio 2006, che era caccia al killer di Antonio Fortino, il sorvegliato speciale considerato allora reggente della cosca Farao Marincola che venne ucciso mentre camminava a piedi da solo nel centro di Cirò Marina con due colpi di pistola che raggiunsero la vittima al torace e al collo, non potevano certo immaginare che l’assassino avrebbe confessato 17 anni dopo.
La terza cantata di Gaetano Aloe, il nuovo pentito del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, è stata versata dal pm Antimafia Domenico Guarascio nel processo col rito ordinario (la puntata precedente risale al filone del rito abbreviato) per l’omicidio di Vincenzo Pirillo, altro esponente di vertice del clan ucciso, a quanto pare proprio dal collaboratore di giustizia, nell’agosto 2007, mentre cenava in un ristorante.
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Si scopre così che l’uccisione di colui che era considerato, negli ambienti criminali, il killer del padre, Nicodemo Aloe, il boss assassinato nel 1987, non è il primo fatto di sangue di cui il collaboratore di giustizia si accusa. In un verbale fresco fresco, redatto il 14 aprile scorso, Aloe, nel precisare alcune circostanze relative al delitto Pirillo, aggiunge un dato inedito.
CIRÓ MARINA, LE NUOVE RIVELAZIONI DI GAETANO ALOE
«Volevo farlo a volto scoperto, ricordo che una volta dissi a Pino Sestito (altro pezzo da novanta del clan, ndr): “ho ammazzato Antonio Fortino a volto scoperto e posso farlo certamente anche con Pirillo che ha ammazzato mio padre”. Ricordo che Sestito nemmeno sapeva che avessi ucciso Fortino e si rammaricò con mio cognato Giuseppe Spagnolo che mi aveva permesso di uccidere e sporcarmi con un omicidio».
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Già, il rapporto con i cognati, Martino Cariati e soprattutto Giuseppe Spagnolo, plenipotenziari della cosca cirotana, rischiava di minare la credibilità del pentito ma il pm se ne accorge subito.
«Mi chiedete perché nei precedenti verbali ho cercato di minimizzare la posizione dei miei cognati in ordine all’omicidio di Natale Bruno e altri fatti di sangue… Mio cognato Spagnolo mi ha cresciuto e d’istinto ho cercato di proteggerlo per quanto riguarda questo omicidio per il quale è già a processo. Questo istinto di protezione mi ha fatto stare male e non sarei credibile se continuassi con quest’atteggiamento…»
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«NON HO ASTIO CON NESSUNO, VOGLIO SOLO CAMBIARE VITA»
«Non ho motivi di astio con nessuno, voglio solo cambiare vita e assicurare un futuro migliore ai miei figli. Ce l’avevo solo con Pirillo che ha ucciso mio padre e l’ho ammazzato io invece di mio cognato». Insomma, Spagnolo – è il dato processualmente rilevante – sapeva, anche se in qualche modo si era opposto all’ordine del “padrino” Cataldo Marincola, ma soltanto perché «non voleva apparire come mero esecutore di ordini».
«Dopo che Siena, Castellano, Mancuso e Sestito parlarono a più riprese con Spagnolo, lo stesso accettò di buon grado di organizzare l’omicidio. Castellano e gli altri spiegavano che l’esecuzione avrebbe favorito la nostra famiglia in quanto avrebbe permesso di vendicare suo suocero, cioè mio padre».
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Spagnolo avrebbe coordinato tutte le fasi dell’agguato, dal pedinamento della vittima al ricovero dello scooter utilizzato dai killer. E quando Salvatore Siena arrivò a casa a riferire la dritta secondo cui Pirillo era seduto al ristorante, la notizia in realtà era diretta a Spagnolo. L’unica cosa su cui non era d’accordo Spagnolo, era che fosse Aloe a sparare, ma il pentito insisteva. Aveva espresso personalmente più volte questa sua intenzione ai cognati. Alla fine si vendicò. Che fosse stato lui l’esecutore materiale lo ha confermato in aula anche il pentito Nicola Acri nel processo che si sta celebrando in Corte d’Assise di Catanzaro.
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