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Gaetano Aloe

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Dettagli sempre più inquietanti nelle dichiarazioni del boss pentito Gaetano Aloe che ai pm ha confessato «dopo l’omicidio fui costretto a buttare le scarpe nuove, mi è dispiaciuto per quelle scarpe»

CIRÒ MARINA – «Dotto’, prima cosa io faccio parte della cosca». Omissis fino a pagina 22. Sta proprio nella parte dei verbali del nuovo pentito di Cirò Marina, Gaetano Aloe, ancora coperta da segreto istruttorio, il racconto più interessante. Per ora quello che c’è in quelle pagine lo sanno soltanto il pm Antimafia Domenico Guarascio e uno stuolo di carabinieri del Reparto operativo di Crotone, e mentre si arrovellano per immaginare cosa possa aver detto il collaboratore di giustizia tremano in tanti, negli ambienti criminali.

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Era il 22 marzo scorso quando Aloe si è presentato negli uffici del Comando provinciale dei carabinieri di Crotone. Qualche ora dopo si trovava già negli uffici della Dda di Catanzaro, dinanzi al sostituto procuratore che ha coordinato le inchieste più recenti contro il “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, e in particolare quella denominata Stige, che nel gennaio 2018 portò a 170 arresti, e l’appendice di un paio di mesi fa, denominata “Ultimo atto”, contro le nuove leve, con altri 30 arresti.

IL CINISMO DEL KILLER ALOE DOPO L’OMICIDIO: «RIMPIANGO QUELLE SCARPE»

Che Aloe, figlio di Nicodemo detto Nick, il boss ucciso nel 1987, avesse preso parte all’agguato di Vincenzo Pirillo mentre, nell’agosto 2007, cenava in un ristorante, lo avevano già dichiarato un paio di pentiti e la sua conferma, il fatto che si autoaccusi di essere stato l’esecutore materiale, come già riferito dal Quotidiano, è un riscontro importante, tant’è che il pm Guarascio ha prodotto le prime cantate del collaboratore di giustizia nel processo per il fatto di sangue. Ma c’è di più e dell’altro e per questo si registra un certo “fermento”, a Cirò Marina, tanto che molti ipotizzano effetti a cascata con una nuova serie di collaborazioni con la giustizia. Intanto, non è da escludere che gli interrogatori possano essere versati nelle carte dell’inchiesta “Ultimo Atto” oltre che nei processi scaturiti dall’operazione “Stige”, perché molto dei nomi che Aloe fa sono di gente coinvolta nelle indagini pregresse.

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LA “CONFESSIONE” DI ALOE SULL’OMICIDIO E IL “RAMMARICO” PER LE SCARPE

Colpisce un certo cinismo criminale, scorrendo i primi verbali di Aloe, spesso infarciti di espressioni dialettali, a volte anche colorite. «Mi sono tolti i vestiti, li ho messi in una busta con le scarpe, rimpiango ancora le scarpe che mi ero comprato quello stesso giorno, della Nike, con le molle».

Quando racconta la vestizione e la svestizione del killer, cioè di sé stesso, subito dopo l’“azione” al ristorante, vittima Vincenzo Pirillo, freddato mentre cenava al ristorante e teneva una bimba sulle gambe, rimasta pure ferita, Aloe si lascia scappare che gli dispiacque aver dovuto rinunciare a quelle scarpe da tennis di colore blu nuove di zecca, ma almeno così aveva vendicato il padre. Arriva la dritta, da Salvatore Siena, la dritta secondo cui l’obiettivo predestinato è al ristorante, e subito dopo arriva il complice, o presunto tale, Franco Cosentino, con uno scooterone rubato a Cariati.

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«Mancu ‘i passamontagna, ‘i collant rosa n’amu misu», precisa nel suo secondo interrogatorio, dopo che in quello precedente, del 22 marzo, aveva spiegato: «Ccu ‘i buchi all’occhi», perché dalla calzamaglia da donna erano stati ricavati i copricapo per i sicari. Prima ancora, era arrivato l’ordine da Cataldo Marincola, leader storico del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò. «Cenzo deve morire». Ma ora siamo al momento dell’azione. Durante il tragitto incontrano Luigi Mancuso che conferma: «vedi che è al ristorante».

IL RACCONTO DELL’AGGUATO

Parcheggiano il motorino vicino un bar, c’è una porta laterale da cui si accede al ristorante, passano da là. «Cenzo era ‘cca, proprio cca, e l’haiu sparatu, poi Franco ha sparatu, siccome tena na gamba che on le funziona bona, è caduto, e ha sparato ‘i sta manera. E ne nda simu juti. M’ha lassatu a ra casa». A quel punto lui si spoglia ma si ritrova di fronte «tutti quanti avanti ‘a porta».

Subito dopo l’agguato c’era stata una perquisizione a casa del cognato di Aloe, Giuseppe Spagnolo, che, insieme a Marincola, è uno degli imputati per l’omicidio. Aloe si spoglia, Spagnolo arriva con i Siena, lui consegna i vestiti a uno dei Siena e li vanno a buttare. Spagnolo, a dire del pentito, era contrariato. «Hai rotto la sorveglianza speciale, mi fai arrestare, ti avevo detto che volevo andare a parlare con Cataldo… hai una figlioletta, hai visto cos’hai combinato», gli avrebbe detto subito dopo una perquisizione eseguita dai carabinieri.

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IL RACCONTO DEL PROGETTO DI MORTE DEL KILLER

Un racconto fatto di continui flashback. Sembra quasi di entrare nella scena quando Aloe, con la sua parlata molto descrittiva, restituisce al pm ogni dettaglio, a partire da quel «mi sono preparato». L’accelerazione al progetto di morte viene impressa dopo che Aloe, che braccava la vittima predestinata da un paio di settimane, apprende la notizia che Pirillo è seduto al ristorante. «M’aiu misu i pantaloni perché avìa i pantaloncini, e la camicia perché a quel periodo là avevo un tatuaggio, camminavo con le camicie a maniche lunghe».

Aloe interrompe il pm perché gli viene in mente dove furono nascoste le pistole: «è venuto Salvatore Siena, ha voluto ‘a moto ‘e acqua, ca aviti scriviri duva jettaru i pistoli, ci haiu datu ‘e moto e acqua». Insomma, consegna i vestiti, si fa una doccia a casa, poi va a casa di Spagnolo che è attaccata alla sua, lo trova in compagnia del fratello, entrambi sono arrabbiati con lui perché poco prima li avevano perquisiti i carabinieri.

«HA SOFFERTO, PERÓ MI FRICU E IDHU»

Pirillo ancora non era morto. Morirà in ospedale. «Ha sofferto però mi fricu e idhu». Non è pentito di aver ucciso Pirillo, Aloe, perché così ha vendicato il padre, tant’è che quando incontrerà Marincola in un albergo a Isola Capo Rizzuto il boss lo abbraccerà dicendogli: «Visto che bel regalo ti ho fatto?». Negli ambienti criminali tutti sapevano del rancore che Aloe provava per Pirillo, al punto che, racconta, ipotizzava, prima ancora di ricevere il mandato di morte, di compiere autonomamente l’azione. «Lo faccio da solo e lo pago io». Lo ha detto, del resto, al cronista del Quotidiano che ha preso la telefonata in redazione di Aloe, il giorno in cui fu pubblicato l’articolo che dava notizia della sua scelta di collaborare con la giustizia: «mi sono vendicato e ho raggiunto lo scopo della mia vita».

Pirillo, freddato nell’ambito di un regolamento di conti al vertice del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, era il reggente del clan, e in quanto tale si avvaleva di un contabile, che però era “irregolare” nel senso che non era formalmente affiliato. Il pentito Gaetano Aloe lo indica in Raffaele Blefari che però, stando sempre al narrato del collaboratore di giustizia, pur non essendo formalmente affiliato avrebbe compiuto un tentato omicidio, quello di Pino Cavallaro, la sera del 22 marzo 2008 ferito gravemente a colpi di pistola mentre rientrava a casa. «Volevi i soldi? Da Rafele dovevi andare, era un contabile smascherato». Aloe la sera dell’agguato al ristorante non notò Blefari sul posto, anche se successivamente gli hanno detto che era là: «se sapia che era dha ammazzava puru a Rafele».

I RAPPORTI TRA ALOISIO E SPAGNOLO

Ma dopo il delitto, Cataldo Aloisio, nipote di Pirillo – che un anno dopo sarebbe stato ucciso a Legnano, e anche nel processo per il suo omicidio sono imputati i vertici del “locale” cirotano – aveva formato un “gruppetto”, di cui avrebbe fatto parte anche Blefari, che voleva assassinare Spagnolo, negli ambienti criminali considerato come colui che aveva compiuto l’omicidio al ristorante. Addirittura si era sparsa la voce che Aloisio volesse piazzare una bomba a casa di Spagnolo. Blefari, insieme ad Antonio De Luca, viene additato dal pentito come l’autore del ferimento di Cavallaro su mandato di Aloisio. Cavallaro aveva peraltro intrattenuto una relazione sentimentale con la sorella di Aloisio.

«Vi dico questo perché in un primo momento tutti avevano pensato che fossi stato io a sparare Cavallaro, tant’è che Marincola tramite Ciccio Castellano mi aveva chiesto spiegazioni – precisa Aloe – so che lo stesso Aloisio spiegò a Marincola che era stato lui perché mal sopportava la relazione che Cavallaro aveva intrapreso con la sorella, ebbi modo di parlare io stesso con Cavallaro che me lo confermò».

Ma lo stesso Aloisio non avrebbe avuto vita lunga, e Aloe sa anche qualcosa sull’omicidio di Legnano grazie a quel «tutto a posto, potete stare tranquilli» che gli avrebbe spifferato Vincenzo Farao che, appena rientrato dalla Lombardia, l’aveva mandato a chiamare. La storia delle bombe aveva suscitato un po’ di allarme a casa di Aloe e a casa di Spagnolo, attaccate l’una l’all’altra. Ma alla fine, “Cenzo Farao” dixit, Aloisio «era stato ammazzato e se l’era vista lui». Un filo rosso sangue lega i due delitti, qualcosa del genere aveva già detto il pentito Francesco Farao, figlio di Giuseppe, vertice supremo del “locale” di ‘ndrangheta. La conferma viene dalla nuova gola profonda del clan.

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