X
<
>

Il casolare confiscato al boss Nicola Arena

Share
4 minuti per la lettura

ISOLA CAPO RIZZUTO (CROTONE) – Potrebbero emanare un buon odore, un profumo che sa di legalità, i cibi sfornati nell’ambito del progetto “Dalla buona terra alla buona tavola. Laboratorio di cucina sociale”, ruotante attorno all’idea di un centro di degustazione di prodotti tipici proprio là dove era il feudo del boss Nicola Arena, a capo di una delle cosche più potenti della ‘ndrangheta, al quale un casale rurale, insieme ad altri beni, fu confiscato in via definitiva nel mese di aprile del 1998 dopo un tortuoso iter giudiziario.

Ma, a 24 anni dall’acquisizione definitiva del bene al patrimonio dello Stato, i lavori in quel complesso rurale che costituisce un unicum di particolare pregio paesaggistico e storico, destinato a divenire un vero e proprio Parco agro-ambientale fruibile da turisti, scolaresche e cittadini comuni, non sono iniziati. Ad accorgersene, un gruppo di studenti dell’istituto nautico “Ciliberto” di Crotone, impegnati da quattro anni in un laboratorio di cittadinanza attiva coordinato dalla professoressa Rossella Frandina.

Quest’anno hanno dato vita al team “Disobb3dienti”, scegliendo di occuparsi di uno dei beni confiscati al clan Arena e monitorarne l’andamento della gestione. E hanno scoperto un po’ di cose, questi splendidi ragazzi. In quel casale all’interno del parco nella località Cepa, che dovrebbe essere già ristrutturato anche se il cronoprogramma slitta di anno in anno, gli studenti ci sono stati, hanno fatto foto e video, hanno intervistato Umberto Ferrari, infaticabile animatore della coop Terre Joniche al quale il bene è stato affidato dal Comune di Isola Capo Rizzuto nel 2013. Hanno respirato, empaticamente, un clima di pressioni mettendo piede in quell’humus in cui gli operatori della coop notavano tracce di aratura nonostante i terreni fossero già confiscati al boss, un ex guardiano tornato in libertà nel 2010 dopo aver scontato una lunga pena, anche se poi sarebbe stato riarrestato per altro, condannato e di nuovo scarcerato.

A quell’ex guardiano erano stati tolti beni per svariati milioni di euro. Parliamo di 72 ettari (suddivisi in 23 particelle), tutti ritagliati attorno al villaggio turistico Valtur. Perché gli erano stati tolti? Perché il boss, dal febbraio ’70 assunto come custode presso il villaggio con la paga di un milione di ex lire al mese, non poteva legittimamente, secondo gli accertamenti patrimoniali condotti dalla Dda di Catanzaro, possedere quelle ricchezze. Ma è soltanto una delle confische che il clan avrebbe subito negli anni. Quattordici anni di reclusione (la sentenza, emessa in primo grado nel ’96, divenne definitiva nel ’98) erano stati già scontati dal boss, poi tornato in libertà, perché ritenuto a capo di un’associazione mafiosa dedita a estorsioni, e quelle tracce di aratura sembravano un segno di qualcosa di difficile da eradicare. Così come il fatto che, nonostante la confisca, qualcuno aveva pure ristrutturato il tetto del casale.

Il decreto di trasferimento dei beni al Comune risale addirittura al 2002: l’allora prefetto di Crotone Vincenzo Panico, che li riteneva inidonei per la destinazione a presidi delle forze dell’ordine, indicò la finalità sociale per le particelle Cepa, e in particolare l’assegnazione a cooperative di giovani imprenditori. Ma questi buoni propositi rimangono ancora sulla carta. Risale al 2018 l’atto con cui il responsabile del procedimento amministrativo, il funzionario del Comune di Isola Antonio Otranto, proponeva la ristrutturazione di quel vecchio fabbricato, approvata dalla Commissione straordinaria guidata dal prefetto Domenico Mannino (che governava il Comune in seguito a un nuovo scioglimento dell’ente per infiltrazioni mafiose) per un importo di 570mila euro nell’ambito del Pon Legalità.

«L’idea di fondo – era detto nella delibera di partecipazione all’avviso pubblico – è quella di poter fornire prodotti e servizi in grado di contrastare le crescenti aree di disagio e marginalità attraverso il coinvolgimento di forze del privato sociale, dell’imprenditorialità dal basso, delle comunità di cittadini che si organizzano per soddisfare vecchi e nuovi bisogni per ottimizzare l’utilizzo delle risorse, umane e naturali, per garantire un miglioramento sociale». C’era anche un cronoprogramma secondo cui il progetto, che prevede anche convenzioni con gli istituti scolastici del territorio, come l’Alberghiero di Le Castella e l’Agrario di Cutro, si sarebbe realizzato dal 2019 al 2020.

In realtà la gara, andata deserta una prima volta, è stata aggiudicata dalla Stazione unica appaltante della Provincia di Crotone soltanto nel dicembre scorso. Ma è un’aggiudicazione provvisoria, quella alla Alan srl (seconda classificata New Edil snc di Antonio Viscome). C’è il rischio concreto di riaggiudicazione perché Comune e Sua hanno rilevato carenza di documentazione di una delle imprese ammesse ed è scattato un supplemento istruttorio con tanto di interlocuzione con l’Anac. Quella mancata esclusione potrebbe pertanto determinare una ridefinizione di punteggi. Alle lungaggini giudiziarie, alle pressioni del clan per rivenire in possesso dei beni, si aggiungono anche le tortuosità della burocrazia.

Dopo un quarto di secolo, quando i lavori – si spera – saranno iniziati, non potrà comunque dirsi un successo. Troppi ritardi e inadempienze, quando si parla di riuso sociale dei beni confiscati a cui spesso è complicato perfino accedere, in territori difficili come Isola. Ma è un film già visto a queste latitudini.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE