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L'auto distrutta dall'incendio

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CUTRO (CROTONE) – L’auto Audi “A4” station wagon di Francesco Martino, 24enne figlio del più noto Vito, storico componente del gruppo di fuoco del super boss Nicolino Grande Aracri, è andata interamente distrutta in seguito a un incendio di natura dolosa.

L’auto della moglie di Vito Martino

La vettura era parcheggiata in largo San Francesco, nei pressi dell’abitazione della famiglia Martino, e le fiamme hanno lambito, nelle immediate vicinanze, anche l’auto Lancia “Y” della madre, Veneranda Verni, pure lei già nota alle forze dell’ordine. In passato anche la moglie di Vito Martino subì l’incendio della propria auto.

Il rogo notturno balza all’attenzione tanto più se lo si mette in rapporto con la posizione apicale rivestita dal padre nell’ambito di una delle cosche più potenti della ‘ndrangheta, il cui vertice indiscusso comandava su mezza Calabria, parte dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto e puntava all’autonomia rispetto al crimine di Polsi con l’obiettivo temerario di fondare una nuova “provincia” mafiosa partitetica rispetto a quella reggina. Un progetto stroncato con la carcerazione del boss, il cui principio di collaborazione con la giustizia, poi rivelatosi una “farsa” secondo quanto accertato dalla Dda di Catanzaro, suscitò clamore mediatico nazionale.

L’episodio di chiara matrice intimidatoria contribuisce pertanto a sollevare alcuni interrogativi. Francesco Martino non ha mai avuto a che fare con la giustizia, a differenza del fratello Salvatore, condannato in primo grado per furti e rapine a 6 anni e 10 mesi nel processo Masnada e ritenuto a capo di un’associazione a delinquere (accusa che però cadde in Tribunale) che arrivava a compiere reati anche con platealità e sfrontatezza. E a differenza del padre che, soltanto per citare uno dei processi in cui è stato coinvolto, quello denominato “Scacco Matto”, la madre delle inchieste sulla super cosca Grande Aracri, dopo la condanna definitiva per associazione mafiosa, ha anche rimediato, nel maggio scorso, quella, sempre definitiva, all’ergastolo per due omicidi (ma è stato assolto per un caso di lupara bianca e la strage al bar di Isola Capo Rizzuto, fatti di sangue dell’annus horribilis 2000).

Chi ha inteso intimidire, con le modalità collaudatissime della ‘ndrangheta, il figlio di uno dei plenipotenziari della super cosca e, soprattutto, perché? Indagano i carabinieri.

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