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L'ex presidente del Consiglio regionale Domenico Tallini

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CUTRO (CROTONE) – «Tallini lo devo bruciare… sono disposto a pentirmi parzialmente su questo capo d’imputazione… ha fatto il riesame e l’hanno scarcerato». Parola di Giovanni Abramo, genero del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, intercettato in carcere mentre parla con Ernesto Grande Aracri, fratello del capo crimine ergastolano, svelando il retroscena di un interrogatorio da lui reso «per motivi di giustizia», nel gennaio scorso, al pm Antimafia Domenico Guarascio.

È l’interrogatorio che, come già riferito dal Quotidiano, confermerebbe che la super cosca cutrese sarebbe stata in grado di avvicinare, per infiltrarsi in maniera sofisticata nel redditizio mercato farmaceutico, l’ormai ex presidente del consiglio regionale Domenico Tallini ai tempi in cui il noto politico catanzarese era assessore al Personale.

Tallini nel novembre scorso finì agli arresti domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio anche se il Tribunale del riesame di Catanzaro annullò nei suoi confronti l’ordinanza di custodia cautelare (LEGGI) consentendogli di rientrare come consigliere regionale a Palazzo Campanella.

Sia Abramo che Tallini sono tra i 24 destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini (LEGGI) fatto notificare dal procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dal sostituto Domenico Guarascio nell’ambito di un’inchiesta che avrebbe delineato i nuovi assetti del clan i cui vertici erano stati decapitati dopo l’operazione Kyterion del gennaio 2015.

«Devo fare un discorso, è un corrotto al massimo, è corrotto con noi». Abramo, infatti, ha ammesso, a colloquio col pm, di aver investito 50mila euro, provenienti da una truffa, nell’affare dei farmaci proposto da suo cugino Salvatore Grande Aracri, ritenuto il regista dell’operazione; in cambio dell’autorizzazione che Tallini avrebbe potuto procurare, il clan avrebbe dovuto appoggiarlo elettoralmente (LEGGI), anche se il genero del boss non sa se il sostegno ci fu.

Giovanni Abramo

Abramo parla anche di una lettera scritta al suo avvocato in cui afferma che si autoaccuserà sul punto e chiede di verificare un’eventuale incompatibilità perché il legale assiste anche Domenico Grande Aracri, l’avvocato incensurato fratello del boss.

«Lo faccio camminare col culo alle mani, regolatevi se dovete difendermi voi». E ancora: «Abbiamo allacciato Tallini… ha fatto la licenza della farmacia, il figlio è stato assunto».

Un tentativo di inquinamento del quadro probatorio o accuse veritiere, quelle su Tallini? Difficile dirlo, tanto più che secondo Abramo «tre indizi fanno una prova». Oltre alle sua accuse, ci sarebbero state quelle del boss in persona e a quel punto si trattava di «obbligare» Domenico Scozzafava, portaborse di Tallini e figura chiave dell’inchiesta, a pentirsi anche lui dopo averlo messo con le spalle al muro.

La Dda, oltre al verbale di Abramo, ha prodotto anche le conversazioni intercettate in carcere, durante le quali peraltro viene commentato il pentimento farsa del boss, il cui principio di collaborazione con la giustizia – poi ritenuto inattendibile dalla Dda – suscitò clamore nazionale. Del resto, «sorprendentemente», osservano gli inquirenti nelle carte, nessuno dei familiari del boss accettò di essere sottoposto a protezione.

Abramo disse pure di trovarsi bene in carcere, quando gli fecero la proposta, perché, nel nuovo penitenziario, quello di Larino, sarebbe tornato in cella con lo zio Ernesto dopo la quarantena. La figlia, in uno dei colloqui captati dai carabinieri – siamo al 3 maggio scorso – riferisce pure che i giornali hanno dato la notizia della sospensione degli interrogatori del nonno.

La direttrice del carcere comunica peraltro subito dopo che i due affiliati alla cosca non saranno spostati nella sezione riservata ai familiari dei collaboratori di giustizia. «È uscito sul giornale che si erano fermati ad ascoltarlo». «Per questo non ci hanno messi di là».

È un gruppo di intercettazioni che consente di raccogliere gli sfoghi a caldo dei familiari del mammasantissima, che, dopo essere stato smascherato, con un telegramma avvisò i suoi: «la farsa è finita». «Nicola non è che sta collaborando, d’accussì sta parlando», del resto, osserva suo fratello Ernesto quando i familiari gli comunicano la notizia. Almeno questo è il commento che fa conversando con Abramo, e aggiunge che per farle «capire» che «va bene», che è «a posto», ha detto a sua figlia, che commentava la notizia del pentimento, di «parlare poco». «Gli ho fatto capire».

«Pure Nicolino Sarcone, sai cosa sta aspettando: che qualcun altro si pente per non accusare il fratello… oggi o domani non dice “che ti ho accusato io”»: il riferimento è al capo della cellula reggiana del clan, il cui pentimento non fu ritenuto attendibile dalla Dda di Bologna.

Infine, Abramo sminuisce l’apporto collaborativo del suocero: «solo su quegli omicidi che si è autoaccusato… stop… collaborazione non ne ha preso sennò minimo ti cacciano al 41 bis». Il mammasantissima è ancora detenuto col regime duro.

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