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Nicola Acri detto “Occhi di ghiaccio”

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CIRO’ MARINA (CROTONE) – Quando Peppe Spagnolo detto il “bandito”, uno dei plenipotenziari del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, al quale era stato affidato l’incarico di morte, sembrava temporeggiare, il boss Cataldo Marincola, tra i capi storici della super cosca cirotana, disse all’alleato Nicola Acri, ex capo del clan di Rossano e oggi pentito, che se i killer già reclutati non si fossero “sbrigati” l’omicidio di Vincenzo Pirillo (LEGGI) l’avrebbero compiuto lui, cioè Marincola, e lo stesso Acri, al quale il boss chiese se fosse pronto.

«Acconsentii», disse “Occhi di ghiaccio”, nomignolo del neo collaboratore di giustizia, evidentemente ritenuto più attendibile del suo quasi omonimo Nicola Grande Aracri, il boss di Cutro, che sulla strage al bar di Cirò Marina dell’agosto 2007 ha fornito una versione che non convince la Dda di Catanzaro.

Il pm Antimafia Donenico Guarascio ha versato i verbali di Acri – ma anche del pentito di Cropani Massimo Colosimo, dei quali abbiamo già riferito perché prodotti nel processo Stige – nel giudizio abbreviato a carico di Spagnolo e del vertice indiscusso della cosca cirotana, Giuseppe Farao, accusati di concorso in strage per l’omicidio di Vincenzo Pirillo, freddato mentre cenava con la sua famiglia nell’affollatissimo ristorante l’Ekò da un commando composto da cinque persone che ferì, tra gli altri, una bambina che la vittima designata teneva sulle gambe.

Per lo stesso delitto sono stati rinviati a giudizio Cataldo Marincola e Silvio Farao, capi storici del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò. Ma ecco la versione di Acri, la cui fonte privilegiata era proprio Marincola col quale trascorse insieme periodi di latitanza, peraltro in un agriturismo a Rossano.

Si trattavano bene i boss, che da latitanti – stando al narrato di Acri – passavano le ferie ai villaggi Valtur di Isola Capo Rizzuto o in qualche appartamento affittato a Camigliatello Silano. Mari e monti, la ‘ndrangheta non si fa mancare nulla, ma il “lavoro” non veniva trascurato mai perché i summit avevano luogo anche durante la villeggiatura. Il grave fatto di sangue fu un delitto spartiacque nella geografia mafiosa cirotana e non solo, visto che la cosca di Acri dipendeva funzionalmente dai Farao Marincola.

«Divento latitante nel luglio, agosto 2007 e gran parte della latitanza l’ho trascorsa insieme a Marincola – spiffera Acri ai pm Antimafia – Ci siamo spostati diverse volte. Siamo stati in un agriturismo a Rossano di proprietà di Giovanni Luzzi, a Papanice e anche al villaggio Valtur di Isola Capo Rizzuto. Durante la latitanza Cataldo incontrava tutti gli esponenti più importanti delle famiglie del Crotonese tra cui i Megna, i marcedusani, i Trapasso e gli Arena.

Cataldo si confidava con me: in uno dei nostri discorsi si lamentò del comportamento di Natale Bruno che, reggente della cosca, faceva arrivare alla moglie solo 800 euro al mese. Si lamentò con me del fatto che Pirillo per ucciderlo avesse utilizzato i cognati di Sergio Iazzolino in piena faida».

Pirillo era peraltro subentrato nella reggenza del “locale” di Cirò a Natale Bruno, a sua volta assassinato nel 2004, un delitto dal pentito attribuito allo stesso Pirillo che avrebbe reclutato tre killer tutti morti ammazzati: Sergio Iazzolino, il presunto boss di Sersale assassinato a Steccato di Cutro nel marzo 2004, e i cognati Felice Onofrio e Maurizio Ferraro, massacrati il 18 agosto 2005 a Marcedusa.

E spunta un altro retroscena inedito. «Cataldo si lamentò che gli Arena avessero uccisi questi cognati di ritorno da un matrimonio a Cirò». Ma perché Marincola decise di eliminare Pirillo? «Mi chiedeva di capire le lamentele che Pirillo portava agli Abbruzzese ascoltando da me il fatto che gli zingari s’erano comportati bene coi cirotani…tutte le problematiche a Cirò erano causate da Pirillo e decise di eliminarlo. In quel periodo di latitanza ebbe incontri con diversi accoscati, particolarmente Ciccio Castellano e Gino Vasamì che sentiva più vicini, con loro parlò direttamente della necessità di eliminare Pirillo e mi riferiva il contenuto degli incontri».

Tra i «fedelissimi» che il boss riceveva anche Salvatore Siena, allora «poco attenzionato dalle forze dell’ordine», incaricato di mandare l’”ambasciata” a Spagnolo perché eseguisse l’omicidio insieme ai cognati Martino Cariati e Gaetano Aloe. Cariati aveva addirittura proposto di avvelenare Pirillo ma Marincola si oppose e si arrabbiò per i ritardi. «Informò Siena che l’ordine era serio e non avrebbero più dovuto temporeggiare e doveva essere un agguato eclatante».

Spuntò anche il piano B, col tandem Acri Marincola in azione. L’agguato alla fine si fece, e fu eclatante, e Marincola si buttò latitante in Sila, insieme ad Acri, ma era arrabbiato in quanto «Aloe aveva combinato un casino, aveva sparato a una bambina», racconta sempre il pentito. Poi il boss, a dire di Acri, fece “salire” anche la famiglia negli appartamenti di Camigliatello. Dopo lo spargimento di sangue, un po’ di vacanza al fresco.

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