Gli inquirenti che hanno illustrato l’esito dell’operazione “Malapianta” contro il clan Mannolo
2 minuti per la letturaCUTRO (CROTONE) – Talpe in Tribunale. La longa manus del clan Mannolo di San Leonardo di Cutro arrivava anche nei Palazzi di giustizia e, in particolare, nelle cancellerie. Uno dei temi su cui insistono i pm Antimafia Domenico Guarascio e Paolo Sirleo e gli investigatori della Guardia di finanza di Crotone, nell’incalzare il pentito Dante Mannolo, figlio dello storico boss Alfonso, durante alcuni interrogatori è quello dell’aggiustamento di processi e delle fughe di notizie veicolate da qualcuno in grado di avvertire il clan di imminenti operazioni di polizia giudiziaria.
A indirizzare su questa pista gli inquirenti, del resto, erano le risultanze dell’indagine che nel maggio scorso ha portato all’operazione Malapianta, con particolare riferimento al famigerato Rolex che Alfonso Mannolo cercava per omaggiare un non meglio precisato “presidente”. Sembra un punto di contatto con un’altra inchiesta, condotta sempre dai finanzieri crotonesi, quella da cui è scaturita l’operazione Genesi, che ha scoperchiato un ampio giro di corruzione giudiziaria ruotante attorno al presidente della Corte d’appello di Catanzaro, Marco Petrini. Ma Dante Mannolo sostiene che il raro, e ormai fuori produzione, orologio di cui si parla nelle intercettazioni di “Malapianta”, che aveva ordinato in una gioielleria di Padova, era destinato a un avvocato il quale aveva riscontrato, in seguito all’archiviazione di un procedimento per usura, legato alla rivendita di caffè da lui gestita, e in cui il pentito era indagato, l’esistenza di un altro procedimento a suo carico, e del quale il professionista gli indicò il numero di registro, per cui poi fu arrestato.
Dante Mannolo ha collezionato, oltre all’arresto in Malapianta, altre due ordinanze di custodia cautelare dal 2017, per le truffe dei supermercati a lui riconducibili, una delle quali, notificatagli nel giugno 2017, fu eseguita su richiesta della Dda di Bari. Proprio dalle carte di questo procedimento il legale avrebbe desunto incontri tra i procuratori aggiunti delle Dda di Bari e Catanzaro. Mannolo nega aggiustamenti di processi e rapporti in tal senso con avvocati e magistrati. Però sostiene che quell’avvocato, studiando le carte, aveva individuato, appunto, il numero di registro, il “5065”, in relazione al quale un altro avvocato, quella Rosina Levato coinvolta nell’inchiesta Malapianta con l’accusa di tentata estorsione e usura con l’aggravante mafiosa, si sarebbe presentata in Tribunale dove un cancelliere le avrebbe svelato l’esistenza del procedimento “Mannolo Albano più altri”.
Era sul finire del 2018, o all’inizio del 2019. L’operazione è scattata nel maggio scorso. Insieme all’avvocatessa, per avere più notizie sul “5065”, Dante Mannolo si sarebbe presentato da qualcuno che avrebbe detto che poi avrebbe fatto sapere qualcosa in più. Dell’operazione Stige, scattata nel gennaio 2018, Mannolo percepì qualcosa in quanto quella notte uscì per controllare la sua pompa di benzina a Simeri e notò mezzi delle forze dell’ordine. C’è questo e altro nei verbali falcidiati di omissis versati dalla Dda di Catanzaro in allegato all’avviso di conclusione delle indagini per 95 persone.
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