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Maysoon Majidi in aula insieme all'avvocato Giancarlo Liberati

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Maysoon Majidi torna libera al termine di un’udienza fiume, il Tribunale di Crotone dispone l’immediata scarcerazione


CROTONE – Al termine di un’udienza fiume, nel corso della quale sono emersi elementi che potrebbero scagionare Maysoon Majidi, il Tribunale penale di Crotone ha disposto l’immediata liberazione dell’attivista curdo-iraniana per il venir meno dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per lo sbarco del 31 dicembre scorso. L’avvocato Giancarlo Liberati, difensore dell’imputata, aveva chiesto il proscioglimento immediato e la revoca o sostituzione della misura cautelare in carcere. La richiesta di proscioglimento, in particolare, è stata avanzata ai sensi di un articolo di procedura penale – il 129 – che stabilisce che il giudice può emettere una sentenza di non luogo a procedere, qualora vi sia prova evidente di non colpevolezza, in ogni stato e grado del processo. La pm Rosaria Multari, che non ha ancora fatto requisitoria, si era opposta alla richiesta di proscioglimento e a quella di scarcerazione, non essendo a suo avviso emersa con certezza l’estraneità dell’imputata ai fatti. Il processo prosegue il prossimo 27 novembre per sentire Maysoon, che in aula andrà da libera.

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MAYSOON LIBERA A CROTONE, IL TESTE IRANIANO IN VIDEOCONFERENZA

Ma ecco cosa è successo in udienza. «Siamo stati in barca sotto coperta per quattro giorni, stava male, aveva nausea, qualche volta la abbiamo portata su per farle prendere un po’ d’aria. Era sempre accanto a mia moglie e mia figlia». In videoconferenza dalla Germania, un teste iraniano, definitosi “rifugiato politico”, ha affermato, rispondendo alle domande dell’avvocato Liberati, di aver conosciuto Majidi sulla barca e che lei era sotto coperta con gli altri migranti. «Siamo fuggiti dall’Iran e siamo rimasti in Turchia per tre mesi prima di imbarcarci», ha detto il teste iniziando a raccontare la sua odissea e quella dei suoi familiari. In particolare, il teste ha detto anche che «ogni tanto alcuni migranti avevano il permesso di salire sopra coperta e sedersi accanto al capitano per prendere una boccata d’aria, tra loro anche donne». Ma il resto della traversata lo si faceva «ammucchiati nella stiva, per questo molti avevano nausea». E ha riferito che con Majidi c’era suo fratello.

NIENTE DISTRIBUZIONE DI CIBO

Ancora, ha detto di non aver visto nessuno che distribuisse cibo o indicasse ai migranti dove collocarsi, sostanzialmente smentendo il ruolo di presunta facilitatrice del comandante dell’imbarcazione attribuito a Majidi dalla Procura crotonese. «Sotto c’era caos perché da un buco entrava acqua e collaboravamo tutti per raccoglierla e buttarla», ha aggiunto. Perché Majidi è scesa per prima, una volta sbarcati, insieme ad altre quattro persone poi rintracciate dalle forze dell’ordine nella pineta di Gabella e bloccate in quanto sospettate di far parte di un gruppo di fuggitivi? «Non sapevamo il motivo. Quando poi ho rivisto il fratello di Majidi mi ha detto che erano scesi perché volevano scappare». Ha detto, invece, di sapere con certezza che se testimonia lo fa «per Dio e per questa ragazza innocente». Incalzato dalla pm Rosaria Multari, il teste ha ribadito di non conoscere Majidi precisando di non aver fatto il viaggio dall’Iran alla Turchia insieme all’attivista.

MAYSOON LIBERA A CROTONE: LA CONFERMA DI UN ALTRO TESTE

Sempre in videocollegamento dalla Germania, un’altra teste iraniana ha confermato di aver «conosciuto Majidi nella barca perché stava molto male». «Eravamo ammucchiati, era buio, si cercava di sopravvivere». La donna, «terrorizzata dal mare», non è salita sopra coperta se non al termine del viaggio, quando ha visto soltanto di sfuggita il comandante. Di Majidi ricorda che «non trovava posto per sedersi nonostante stesse male, era un tipo dolce, mansueto, veniva trattata male da una signora afghana che non consentiva a nessuno di sedersi vicino a lei e allora feci posto io per farla sedere. Una volta – ha precisato – stava così male che il fratello l’ha aiutata a salire sopra coperta». E ancora: «non sono mai salita, ogni tanto qualcuno saliva, l’ultimo giorno stavano tutti malissimo ed era un via vai, si saliva tranquillamente e non c’era lo stesso clima di prima». Non ha mai visto l’imputata aiutare il capitano, ha detto la teste rispondendo al difensore. Neanche lei ha conosciuto Majidi prima della traversata per Crotone, ha detto rispondendo alla pm.

IL FRATELLO DI MAYSOON, OGGI LIBERA A CROTONE

Rajan Majidi, fratello dell’imputata, ha ripercorso la fuga dall’Iran. «Siamo dissidenti politici, abbiamo raggiunto in Kurdistan irakeno i referenti del Komala, partito dell’opposizione curda. Dal Kurdistan siamo fuggiti in Turchia, attraversando a piedi le montagne. Alcuni tratti li abbiamo fatti in auto. Non eravamo soli, c’erano altri con noi. In Iran mia sorella si occupava di diritti umani, in maniera clandestina. Era una regista teatrale e cinematografica, ha fatto spettacoli in strada e nei teatri in maniera illegale perché in Iran non è legale occuparsi della violazione dei diritti. Mia sorella è stata anche torturata, e ne porta i segni, in seguito ad alcune manifestazioni svolte nel 2019». Il teste ha anche riferito della somma di 17mila dollari versata da lei e sua sorella per il viaggio in Turchia ma «siamo stati truffati». Quindi la sua famiglia ha pagato la somma per il secondo viaggio ma il teste non ha precisato gli importi.

INDICAZIONI SULL’EQUIPAGGIO

Dalla testimonianza sono emerse anche indicazioni per risalire all’equipaggio. «Sono quelli che hanno fatto i reati per cui la mia assistita è in carcere da gennaio», ha osservato il legale. Il teste, rispondendo all’avvocato Liberati, ha fatto riferimento a una donna afghana che parlava il turco e fungeva da interprete del capitano, accanto al quale era spesso seduta. «Quando ci è stato permesso di salire siamo andati su, al posto di comando, ma c’era il pilota automatico per la maggior parte del tempo», ha aggiunto. Il fratello dell’imputata ha fatto i nomi di due persone che hanno restituito i cellulari ai migranti al termine della traversata, sostanzialmente indicandoli come membri dell’equipaggio. E ha raccontato di un litigio tra sua sorella e la donna (forse una scafista, ndr) che non consentiva ai migranti di salire in coperta per prendere una boccata d’aria. «Non ho visto nessuno distribuire cibo, qualcuno dei migranti aveva portato qualcosa da mangiare, anche noi, ma ci è stato rubato», ha detto ancora. Il giovane ha ripercorso il momento dell’arresto, quando sua sorella tentava di far capire alle forze dell’ordine che lei è un’artista. «Non volevamo venire in Italia ma andare in Germania, scappavamo per non farci prendere le impronte», ha sostenuto, e a quel punto l’avvocato Liberati ha annunciato che produrrà un ordine di espulsione dalla Germania.

MAYSOON LIBERA A CROTONE: «NON SIAMO TRAFFICANTI»

La pm ha chiesto al teste come suo padre avrebbe reperito la somma per il viaggio. «La famiglia era riuscita a trovare i soldi per una persona ma mancava la mia quota. Mia sorella – ha aggiunto – chiedeva pertanto ai miei di trovare i soldi, il debito lo avremmo restituito una volta in Germania». Il teste ha detto anche che sua sorella «non parlava col capitano, forse tranne in un momento di confusione in cui l’ho persa di vista». Per il resto del viaggio «la ricordo sempre accanto a me – ha precisato – perché stava male».

«Non siamo trafficanti, non possediamo la barca, non c’entriamo nulla», ha detto ancora mentre la pm rilevava alcune contraddizioni rispetto alla versione resa in fase di indagine. Perché lui e sua sorella sono stati tra i primi a scendere col tender insieme al capitano? «Dovevamo scendere, abbiamo visto la polizia e ci siamo consegnati. Non avevo intenzione di andare in Germania col capitano, non parliamo neanche la stessa lingua. Dovevo andarci con mia sorella».

IL COMANDANTE LA “SCAGIONA”

Infine, è stato sentito il reo confesso Akturk Ufuk, coimputato di Majidi, nei confronti del quale la pm ha già chiesto una condanna a 8 anni nel parallelo processo col rito abbreviato. «Ero il capitano, ho portato la barca dalla Turchia all’Italia da solo», ha detto il turco che subito dopo gli arresti ha “scagionato” l’attivista addossandosi ogni responsabilità, negando anche il ruolo di facilitatrice contestato alla donna. All’avvocato Liberati, che gli chiedeva di fare i nomi dei trafficanti e degli altri componenti dell’equipaggio, ha risposto che c’era un solo scafista con lui, ma non ne ricorda il nome. Il difensore di Majidi ha fatto una serie di nomi di possibili membri dell’equipaggio, sottoponendo a Ufuk sei foto segnaletiche estratte dal fascicolo della pm. In particolare, l’uomo ha riconosciuto la donna che stava vicino a uno dei trafficanti indicandola come “interprete” poiché conosceva la lingua turca. Majidi? L’ha conosciuta il terzo, forse il quarto giorno di traversata. «La maggior parte del viaggio l’ha fatta sotto», ha detto. Con lei comunicava in inglese. «Non ha fatto niente, non mi ha aiutata in nulla, non distribuiva cibo». Chi manteneva l’ordine? «Il numero 27 dell’album, un irakeno», ha detto Ufuk rispondendo a una domanda del presidente del Tribunale penale, Edoardo D’Ambrosio. Perché tra i primi cinque scesi a terra dopo lo sbarco c’erano lui e Majidi? «È capitato».

Il “PENSIERINO”

Sul finire dell’udienza la pm ha fatto emergere contraddizioni nella versione di Ufuk. Lui dice di non aver ricevuto compenso per il viaggio, in quanto avrebbe svolto il ruolo di comandante in cambio della traversata. Ma la consegna di soldi di cui parla un migrante? «Un “pensierino”, soldi raccolti tra passeggeri». Il selfie con Maysoon cancellato dalla memoria del suo cellulare ma recuperato dagli inquirenti? «L’ho tolto perché pensavo di essere arrestato e non volevo che lei finisse in mezzo».

“SIAMO SALVI”

Le due interpreti utilizzate dal Tribunale hanno tradotto anche il video registrato dall’imputata nell’imminenza dello sbarco, quando si è ormai in prossimità della costa. «Oggi è domenica, ultimo dell’anno, siamo salvi, non vi preoccupate», dice Majidi mentre scorrono le immagini. Secondo l’accusa, potrebbe trattarsi di un messaggio dell’organizzazione di trafficanti ai familiari dei passeggeri perché paghino le restanti quote per il viaggio. Secondo la difesa, il video dimostra soltanto che l’attivista era una migrante come gli altri.

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