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Le strutture accreditate sull’orlo della crisi impugnano la riforma del Welfare. Tra le storture del sistema solo 15 centesimi al giorno per l’igiene personale. Così in Calabria si rischia anche la migrazione socio-assistenziale

CATANZARO – Soltanto 15 centesimi al giorno per l’igiene personale. È una delle storture del sistema del Welfare regionale, che verrà presto messo in discussione davanti al Tar della Calabria. Il ricorso è stato sottoscritto da una decina di strutture socio-assistenziali sparse tra Cosentino e Crotonese, sul piede di guerra perché rischiano di chiudere, ma l’esito della trattazione potrebbe riverberarsi sull’intera riorganizzazione del sistema integrato degli interventi in materia di servizi e politiche sociali in Calabria.

L’udienza dinanzi alla Sezione di Catanzaro è fissata per il prossimo 6 settembre, quando, per conto di una serie di case famiglia per persone con disabilità e per donne in difficoltà e case alloggio per anziani, l’avvocatessa Claudia Parise chiederà di riscrivere, sollecitando la sospensione di una serie di delibere di Giunta, la riforma del Welfare attuata dalla Regione Calabria e ritenuta «illogica e contraddittoria». Si rischia, infatti, la migrazione sociale, dopo quella sanitaria, in Calabria.

Strutture autorizzate ed accreditate per l’erogazione di prestazioni socio-assistenziali a ciclo residenziale e semiresidenziale e comunità di tipo familiare contestano, innanzitutto, i criteri per la ripartizione delle risorse destinate agli Ambiti territoriali, che non sarebbe avvenuta equamente in mancanza di una previsione del fabbisogno dei livelli essenziali delle prestazioni. Tra le varie anomalie del sistema regionale viene rilevata, anche, una «forte compromissione della libertà dell’utente di scegliere ove vivere il proprio disagio sociale o mentale/fisico posto che il medesimo deve scegliere la struttura sulla scorta della propria residenza non potendo rivolgersi a strutture ubicate in Ambiti territoriali fuori dal distretto».

La delibera 669/22 – tra gli atti impugnati – stabilisce, infatti che, a partire dal primo gennaio 2023, ciascun Ambito territoriale dovrà garantire i servizi e le prestazioni sociali esclusivamente a favore di tutte le persone residenti nel proprio Ambito, indipendentemente dal Comune in cui risulta ubicata la struttura socio-assistenziale presso la quale il paziente è ospitato. La stessa delibera dispone che per l’anno 2023 i fondi saranno ripartiti tenendo conto per il 60% della popolazione residente in ciascun Ambito e per il 40% dei posti residenziali e semiresidenziali autorizzati in ciascun ambito; mentre per l’anno 2024 i fondi saranno ripartiti per il 100% in relazione alla popolazione residente. Una disposizione irragionevole, secondo l’avvocatessa Parise, poiché «gli anziani attualmente già ammessi a retta ed inseriti nelle singole strutture ormai da anni, entro il 2024, dovranno essere spostati in altre strutture appartenenti al distretto».

La medesima disposizione, secondo i ricorrenti, contiene peraltro errori di calcolo nell’individuazione delle nuove rette in rapporto ai costi da sostenere. Il riferimento è, anche, alla mancata inclusione dell’addetto alla cucina. Non è manco prevista la figura professionale del cuoco. La nuova retta, insomma, non consente di coprire i costi che le strutture devono sostenere. Facciamo un po’ di conti. Per “l’igiene personale (lavanderia, materiale di consumo, medicinali…)” sono stati previsti 15 centesimi di euro al giorno a persona.

«È evidente che in tale misura di costo non possono rientrare le varie voci che compongono l’igiene personale del singolo utente soprattutto nelle strutture a ciclo residenziale ed in quelle che devono assicurare l’assistenza h24. Sicché, risulta inverosimile che per coprire i costi connessi all’igiene della persona si riescano a spendere solo 15 centesimi al giorno», è detto nel ricorso. Parliamo della voce “Utenze (energia elettrica, gas, telefono, acqua)” che prevede per le strutture residenziali un costo di 2,75 euro al giorno per utente, che scendono a 1,50 euro per le strutture semiresidenziali. Un dato invariato rispetto alla previsione del Dgr 503/2019 che non tiene conto dell’aumento dei costi. Sotto accusa anche la Dgr 669/2022, che ridetermina la quota di partecipazione dell’utenza, secondo i ricorrenti, in violazione del principio di equità.

L’importo stabilito in base all’Isee, rileva l’avvocatessa Parise, «genera evidente disparità di trattamento giacché soggetti con il medesimo reddito, ma con un diverso patrimonio, subiranno un diverso trattamento». E ancora, gli atti impugnati fanno genericamente riferimento alle strutture che prestano sevizi socio-assistenziali senza alcuna distinzione tra quelle autorizzate e quelle già accreditate. «È evidente che tale aspetto determina una disparità di trattamento estrinsecata nella mancata considerazione di un elemento, ovverosia il possesso della sola autorizzazione all’esercizio ovvero anche dell’accreditamento, che genera differenze sostanziali che comportano notevoli diversità in termini di costi da sostenere da parte dell’operatore privato», è la doglianza.

Il ricorso contiene, in ultima analisi, un allarme. «La Deliberazione impugnata fissa un quantum di spesa distribuito per rette che si rivela assolutamente non appropriato e insufficiente a coprire i costi, oltre che non conforme all’effettivo fabbisogno. Qualora la somma stanziata divenisse definitiva e venisse concretamente applicata le strutture non sarebbero in grado di affrontare i relativi costi e dunque si troverebbero costrette a chiudere, con grave nocumento per la collettività e gli utenti bisognosi che, in tal modo, non potrebbero in alcun modo far fronte alle relative esigenze, ovvero, in alternativa, sarebbero costretti a rivolgersi a strutture presenti in altre regioni, di fatto ponendo le basi del cosiddetto turismo socio-assistenziale, al pari di come avviene per le migrazioni sanitarie nel settore socio-sanitario».

La conferma di uno scenario inquietante viene da Sonia De Luca, legale rappresentante della coop sociale Lumen di Cosenza, tra i ricorrenti. «Con la riforma del Welfare rischiano di chiudere le strutture socio-assistenziali calabresi in un contesto in cui le richieste di servizi sono tante. La Regione – osserva – si basa su analisi statistiche e non sul fabbisogno reale e non agisce secondo criteri di proporzionalità ed equità. Si tolgono posti alle strutture che per il momento accolgono senza nessuna previsione, e c’è una follia della normativa che non tiene conto, tra l’altro, del caro vita». In caso di accoglimento di sospensiva, si creeranno le premesse per riscrivere la riforma del Welfare. Lo chiedono operatori di un comparto che, come spiega De Luca, si occupa di «dare dignità alle persone fragili».

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