La fila delle ambulanze a Cosenza durante l'ondata di Covid del 2020
2 minuti per la letturaCOSENZA – La fuga dalla Calabria sarà diminuita per effetto del Covid ma mai interrotta. E le ragioni restano sempre le stesse. La Calabria nel 2021 è in debito di quasi 82 milioni di euro per cittadini che hanno scelto di curarsi in altre regioni, nel 2019 erano 201 circa i milioni da erogare alle altre regioni, il 2020 la cifra è scesa a 139 milioni per 17.457 ricoveri in meno. Nel 2021 sono stati 17.962 i calabresi curati fuori regione, nel 2019 erano 50.570. Al primo posto in assoluto resta il Lazio, a seguire la Lombardia.
Si lascia la Calabria sempre per gli stessi motivi. Prima di tutto i disturbi del sistema muscolo-scheletrico, poi malattie e disturbi dell’apparato cardiocircolatorio, terza le malattie del sistema nervoso. Insomma, una buona dose del “risparmio” accumulato in questi due anni dalla Calabria è dovuto alla diminuzione dell’emigrazione passiva per effetto delle chiusure imposte dal Covid.
Il tavolo Adduce chiarisce alcuni aspetti, utilizzando però i dati del 2019. «La mobilità cosiddetta “fisiologica” (mobilità apparente riferita ai domiciliati fuori regione, mobilità per nido o per casualità) è pari a circa il 17,4% dei ricoveri totali della mobilità ed ammonta a circa 8.830 ricoveri». Il restante è quasi del tutto evitabile. «Il 12% della mobilità passiva è riconducibile ai 108 Drg ad alto rischio di inappropriatezza. Circa il 13,5% è attribuibile ad “Altre diagnosi del sistema muscolo-scheletrico e del tessuto connettivo”. Il numero di ricoveri totali, corrispondenti alla mobilità “inappropriata”, pari a 6.330, potrebbe essere totalmente abbattuto».
Altro passaggio quello della mobilità di prossimità che rappresenta l’1% dei ricoveri totali. Su questo si innesta anche il ritardo clamoroso della Calabria sulla rete oncologica. Nella relazione inviata ai ministeri la Calabria ha ribadito come l’emergenza Covid «non ha consentito la piena attuazione della rete, per cui i Centri oncologici regionali non costituiscono ancora ad oggi punti di riferimento per molti pazienti, tanto che la mobilità sanitaria per la cura dei tumori continua ad essere tra le più cospicue. I volumi di chirurgia oncologica per singolo centro sono da incrementare, specialmente per le forme oncologiche più frequenti (colon-retto, polmone, prostata, tumori ginecologici) per le quali talora non si raggiungono valori soglia raccomandati per la migliore qualità clinico-assistenziale».
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