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COSENZA – Mancanza di uomini e mezzi, gestione informatica in alcuni casi quasi assente, sistema di comunicazione tra Asp e ospedali da rivedere, sistemi informatici che complicano le cose invece che semplificarle, anagrafi inesistenti. Gli screening oncologici sono uno dei punti più deboli della sanità calabrese.

A ricordarcelo puntualmente sono le rilevazioni nelle riunioni ministeriali sullo stato del servizio sanitario regionale e i dati sui livelli essenziali di assistenza che mai come in questi ultimi anni sono sprofondati verso il basso. Eppure si tratta di un intervento fondamentale per la prevenzione e la diagnosi precoce. In sostanza si tratta di effettuare test gratuiti, chiamando quella fascia di popolazione che per età si trova in potenziale rischio cancro.

La pandemia ha quasi azzerato alcune di queste prestazioni, in un contesto dove anche in tempi di “pace” a fatica si è riusciti a raggiungere l’intero target di popolazione. Gli ultimi tre anni certificano una progressiva riduzione dei test su cervice-uterina, mammella e colon-retto. A febbraio 2020 con il decreto del commissario ad acta numero 57 è stata stabilita una riorganizzazione del sistema. A conti fatti, complice anche la pandemia, è ancora tutto da fare.

I numeri sono comunque impietosi. La tabella dell’Asp di Cosenza (in fondo all’articolo) dimostra il calo progressivo dei test nell’ultimo triennio. Il dato macroscopico è quello dello screening cervice-uterino. Nel 2020 su una popolazione di poco più di 41mila 591 persone che rientrano nel target l’Asp di Cosenza ha inviato soltanto 273 inviti a partecipare al programma. Solo 34 le adesioni su questo già irrisorio numero di inviti. È una situazione al limite anche per gli screening al colon, oltre 100mila la platea nel 2020, nessun nuovo test e soltanto dei controlli periodici su pazienti già visitati.

C’è praticamente da ricostruire da zero un sistema, a partire dalle risorse disponibili. L’Asp di Cosenza ipotizza un investimento di quasi due milioni di euro per cercare di risolvere il problema, ma non offre nessuna tempistica su una possibile messa a regime. È un vecchio mantra della sanità calabrese: pianificare per non (o quasi) realizzare.

ANAGRAFE REGIONALE CHE NON C’È

Dietro a questi numeri bassissimi c’è un ingranaggio che funziona poco e male, a partire dai dati in possesso. Il sistema anagrafico regionale presenta “numerose carenze”, per questo motivo l’Asp chiede i dati direttamente ai Comuni. L’Asp quindi non conosce in tempo reale le persone che hanno necessità di accedere ai programmi di screening.

SOFTWARE OBSOLETI

Come nella migliore tradizione, vedi il caso dei tamponi ancora oggi registrati su tre piattaforme informatiche diverse, le piattaforme informatiche utili a registrare questi dati non comunicano tra loro. La soluzione quindi è preparare referti cartacei da registrare in seguito su una seconda piattaforma. Questo vale sia per lo screening colon-retto che per quelli alla mammella.

SEDI E PERSONALE

A questo si aggiunge il problema dei luoghi e delle persone necessarie per effettuare gli screening. Per quelli alla mammella l’Asp segnala una carenza di personale medico-radiologico specializzato in questo settore. Per i test cervice-uterina non ci sono abbastanza ostetriche per gli esami di primo livello e ginecologi in servizio per gli approfondimenti. Così come mancano medici e infermieri anche nell’area dedicata agli screening colon-retto.

E poi ci sono gli spazi. In alcuni casi mancano i laboratori distribuiti in maniera uniforme su tutta la provincia. Ma il dato macroscopico è quello legato proprio al concetto di prevenzione e sanità territoriale. In alcuni casi non ci sono convenzioni attive con l’azienda ospedaliera per gli approfondimenti eventualmente necessari. L’anno zero praticamente.


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