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COSENZA – E’ rimasto a dir poco interdetto Paolo Orofino (giornalista del Quotidiano del Sud) quando i primi di gennaio, leggendo alcune carte di un caso giudiziario, è venuto a sapere di essere stato intercettato e spiato dalla Procura di Salerno con un trojan nel telefonino. E che l’intercettazione era scattata nel dicembre 2019 ed era durata due mesi. Il nostro giornalista si è immediatamente rivolto alla Procura del capoluogo campano per sapere se, in quell’occasione era stato iscritto come indagato in quel procedimento penale. La risposta è stata negativa e Orofino è rimasto, se possibile, ancora più stupito e preoccupato. Può essere intercettato e spiato, col sistema decisamente invasivo e totalizzante del trojan (che diventa un vero e proprio microfono ambientale) un cittadino non indagato e per giunta giornalista? Sì, anche se si rischia di commettere un abuso.
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Dagli atti di un procedimento penale archiviato, ma che ha dato origine ad un procedimento disciplinare pubblico dinanzi al Csm (per questo c’è stata la possibilità di leggere stralci di un’inchiesta archiviata) si coglie il momento in cui gli investigatori di Salerno, che stavano monitorando il procuratore di Castrovillari, Eugenio Facciolla in quel periodo sotto indagine, decidono di chiedere di mettere sotto controllo il telefono del giornalista. E’ il 28 dicembre del 2019: Facciolla e Orofino si incontrano e parlano in un’automobile in uso al magistrato. In quell’auto la procura di Salerno (competente su eventuali reati commessa da magistrati in servizio nel distretto della Corte d’Appello di Catanzaro) aveva fatto piazzare delle microspie. La conversazione tra i due interlocutori viene registrata e ascoltata dagli inquirenti campani. Il magistrato e il cronista, a un certo punto, parlano di “carte” ritenute riservate dagli investigatori che ascoltavano il dialogo.
Le “carte” ritenute riservate, citate nella conversazione captata nell’automobile del magistrato, dunque, altro non erano che le carte dell’inchiesta a carico di Facciolla, che il cronista chiedeva di poter visionare, visto che ormai erano divenute “ostensibili”, essendo che quella indagine, a dicembre del 2019, era già approdata all’udienza preliminare e di cui alcuni giornali avevano già scritto.
Bastava questo per “immaginare” che tra Facciolla e Orofino erano in corso contatti e scambi di notizie forse illeciti? E bastava per ritenere che i due ne avrebbero parlato fuori dall’ufficio di Facciolla e dalla sua macchina (entrambi ambienti imbottiti di microspie)? Per la Procura di Salerno, evidentemente sì. Tanto che parte una richiesta urgente di inserire un trojan nel cellulare di Orofino. Perché il giornalista spiato riceveva “notizie riservate avvalendosi di soggetti non meglio identificati e con modalità non intercettabili per via telefonica”. La richiesta trova immediata accoglienza. Nessuno sembra chiedersi se la gravità delle questioni di cui si parla e dell’indagine riguardante Facciolla fosse tanto elevata da intercettare un giornalista nel modo più invasivo e registrare tutto quello fa nella sua vita personale e professionale per i successivi due mesi (tanto durerà l’intercettazione).
Dalle intercettazioni col trojan non uscirà nulla di serio per le indagini e il procedimento penale a carico di Facciolla (n. 1649/2019) verrà archiviato. La vicenda non porterà a provvedimenti neppure davanti al Csm. Anche se a carico di Facciolla c’è un’altra inchiesta ancora nella quale Orofino non c’entra. Niente di serio, ma qualcosa di poco serio, sì. E vale la pena raccontarlo. Sentito davanti al Consiglio Superiore della Magistratura nel procedimento disciplinare a carico di Facciolla, Orofino si sentirà chiedere se e perché, nei suoi dialoghi captati nell’auto del magistrato attenzionato, si fosse riferito al procuratore Nicola Gratteri col nomignolo di “Cicciobello”. Orofino replica di essere “sbalordito” e ci vuole un po’ per ricostruire. “Cicciobello” era il nomignolo con cui, in quel periodo, in Calabria ci si riferiva a un politico renziano del Pd. L’intercettazione non coglie una sfumatura del discorso e invece di “sai che va a dire Cicciobello, che a Gratteri e Bombardieri (…)” chi trascrive forse non capisce qualche parola in dialetto calabrese e invece esce “Cicciobello Gratteri”. La versione “Cicciobello Gratteri” aveva scandalizzato gli inquirenti che si chiedevano come mai Orofino definisse il procuratore in modo tanto irrispettoso. Ma perché la questione cadesse definitivamente, c’è voluto che il procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, a sua volta sentito dal Csm, confermasse che “Cicciobello”, in Calabria, era il politico dem e non il procuratore di Catanzaro.
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