L'assessore regionale Francesco Talarico
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CATANZARO – C’è anche l’assessore regionale al Bilancio Francesco Talarico tra i 50 arrestati dell’operazione “Basso profilo” ’condotta da personale della Dia, congiuntamente con Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza contro i clan di ‘ndrangheta di Crotone, Isola Capo Rizzuto e Cutro.
A Talarico, che è anche segretario regionale dell’Udc, sono stati concessi i domiciliari. Nella stessa operazione è indagato anche il segretario nazionale del suo partito, Lorenzo Cesa, il quale, a seguito di una perquisizione domiciliare ha annunciato le sue dimissioni: “Ho ricevuto un avviso di garanzia su fatti risalenti al 2017 – ha detto Cesa – mi ritengo totalmente estraneo, chiederò attraverso i miei legali di essere ascoltato quanto prima dalla procura competente. Come sempre ho piena e totale fiducia nell’operato della magistratura. E data la particolare fase in cui vive il nostro Paese rassegno le mie dimissioni da segretario nazionale come effetto immediato”.
Tra le persone colpite da provvedimenti restrittivi, 13 sono finite in carcere, 35 in regime di custodia domiciliare, un obbligo di divieto nel comune di Catanzaro e un obbligo di presentazione alla polizia.
Il provvedimento, emesso dal gip del Tribunale di Catanzaro, Alfredo Ferraro, su richiesta del Procuratore Capo Nicola Gratteri e dei Sostituti Procuratore Paolo Sirleo e Veronica Calcagno ha consentito di assestare un duro colpo ai clan di ‘ndragheta facenti capo a Nicolino Grande Aracri, Giovanni Trapasso, Alfonso Mannolo e Antonio Santo Bagnato. Ognuno di questi, secondo gli inquirenti, ha rapporti con Antonio Gallo alias “il principino”, un “jolly”, in grado di rapportarsi con i membri apicali di ciascun gruppo mafioso in maniera organica e continua.
Le intercettazioni telefoniche e ambientali (ben 266.500 dialoghi ascoltati e trascritti), sostenuti da contestuali indagini bancarie e accertamenti patrimoniali di 1800 conti correnti esaminati e 388.000 operazioni bancarie ricostruite, per un giro d’affari di circa €. 250.000.000 hanno confermato la mole di dati riferiti dai collaboratori di giustizia e hanno permesso di confermare l’esistenza di un insieme di “locali” e “’ndrine” distaccate e operanti nelle diverse province calabresi nei territori di riferimento che corrispondono a Cirò Marina, Cutro, San Leonardo di Cutro, Isola di Capo Rizzuto, Roccabernarda, Mesoraca, Botricello, Sellia, Cropani, Catanzaro e Roccelletta di Borgia.
IL LEGAME TRA IMPRENDITORE E COSCHE
Gallo, veicolando parte dei proventi alle cosche, gestiva in regime di sostanziale monopolio la fornitura di prodotti antinfortunistici alle imprese che eseguivano appalti privati nei territori del settore jonico catanzarese, si procacciava appalti con enti pubblici anche attraverso il potere intimidatorio derivante dal vincolo associativo, e curava la gestione di società fittizie e si interfacciava· con personaggi politici ai quali prometteva pacchetti di voti in cambio di favori per sé e per altri, sia in territorio della provincia catanzarese che in altre realtà territoriali. In più, grazie alla sistematica evasione delle imposte e si ricorreva alla costituzione di società fittizie che avevano lo scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti, ottenerne il pagamento e retrocedere il denaro alle imprese beneficiarie della frode dietro la corresponsione del 11% dell’imponibile indicato nella fattura, affinché queste ultime potessero ottenere indebiti risparmi d’imposta milionari. L’attività di indagine ha consentito di accertare la somma di €. 22.000.000 prelevata per contanti, attraverso l’arruolamento da parte dell’organizzazione mafiosa di un folto numero di soggetti prelevatori, vere e proprie “scuderie” in un network di 159 società e ben 86 società “cartiere” emittenti i documenti falsi. Sono state analizzate e interfacciate alle indagini in corso anche 276 segnalazioni di operazioni finanziarie sospette trasmesse dagli operatori finanziari.
I reati contestati sono anche quelli di corruzione, turbata libertà degli incanti, truffa ai danno dello Stato, associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, autoriciclaggio e reati tributari. Se Gallo non fosse riuscito vincitore, venivano messe in atto manovre come affidamenti diretti in via d’urgenza. Fondamentale, in tale contesto, è risultata l’acclarata complicità, a vario titolo, di pubblici ufficiali – direttori, responsabili e funzionari dell’ufficio appalti e contratti, R.U.P. e un membro di commissione dei procedimenti relativi agli appalti – all’uopo incaricati dalle relative stazioni appaltanti che nei giorni della preparazione del bando e durante la sua istruttoria si sono seduti a tavola con quello che doveva essere, sin dal principio, il vincitore financo recandosi a cena con soggetti pregiudicati appartenenti alla “locale” di ‘ndrangheta di Mesoraca (Crotone). Le indagini hanno altresì fatto emergere un complesso ed articolato sistema di interazioni tra imprenditori e consulenti fiscali della zona. Nell’indagine figurano infatti due commercialisti, entrambi originari di Roccabernarda (KR), con studio fiscale a Catanzaro lido dedicato ai bisogni dell’organizzazione. Le investigazioni hanno inoltre consentito di accertare che professionisti tratti in arresto, in forza delle loro specifiche competenze professionali, avvalendosi di soggetti compiacenti e di società di comodo, hanno fatto fraudolentemente ricorso al credito bancario, predisponendo documentazione fiscale alterata per ottenere indebiti finanziamenti e mutui.
LE SOFFIATE E GLI APPALTI
I componenti della consorteria criminale erano anche in grado di ottenere informazioni sulle operazioni di polizia imminenti attraverso una rete di fonti e connivenze tra le forze dell’ordine. In questo contesto, il ruolo di un Luogotenente della Guardia di Finanza, oggi in pensione, anch’egli raggiunto da misura custodiale, in quanto, ancora in servizio all’epoca dei fatti, con la sua condotta, finalizzata ad ottenere uno stipendio fisso tramite l’assunzione del figlio presso una società costituita ad hoc daG allo in Albania, forniva notizie sullo stato dell’indagine denominata “Borderland” contribuendo a salvaguardare gli interessi proprio di Gallo, di cui conosceva i legami con la compagine associativa di tipo ‘ndranghetistico cui era intraneo.
Per gli stessi motivi si muovevano due politici catanzaresi, Tommaso e Saverio Brutto, padre e figlio, l’uno consigliere di minoranza del Comune di Catanzaro, l’altro assessore del Comune di Simeri Crichi, coinvolti nell’operazione, i quali auspicando un guadagno si mettevano in contatto con Gallo attraverso promesse di “entrature” da realizzare con il contributo del segretario Regionale in Calabria dell’Udc, Franco Talarico, oggi assessore al bilancio della Regione Calabria che, a sua volta, avrebbe coinvolto un europarlamentare e altri politici nazionali. Talarico, insieme ai due politici locali, guardavano a Gallo come imprenditore di loro riferimento per l’aggiudicazione di grossi appalti per i quali il loro guadagno sarebbe consistito in una provvigione del 5%.
Non sono mancate le minacce da parte dei vertici dell’organizzazione verso soggetti ritenuti rei di aver solo pensato ad un eventuale congedo dall’organizzazione, come quelle del boss Santo Antonio Bagnato all’indirizzo di un soggetto marginale ma utile per l’attività di riciclaggio, oppure verso soggetti ritenuti insolenti perché pretendevano, in un caso specifico da Umberto Gigliotta, quanto promesso loro economicamente per l’attività di fittizia intestazione e monetizzazione evocando per convincerli a non denunciare, soggetti della criminalità organizzata catanzarese, del gruppo dei cosiddetti “gaglianesi” .
IL VOTO DI SCAMBIO
Nel prosieguo delle indagini è stato possibile appurare come la consorteria ‘ndranghetista, nelle persone di Antonio Gallo, Tommaso e Saverio Brutto, Antonino Pirrello e Natale Errigo abbia manifestato la propria ingerenza anche in occasione delle elezioni politiche del marzo 2018, per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, nel corso delle quali avrebbe stipulato un “patto di scambio” proprio con il candidato Francesco Talarico, consistente nella promessa di “entrature” per l’ottenimento di appalti per la fornitura di prodotti antinfortunistici erogati dalla sua impresa e banditi da enti pubblici economici e società inhouse, attraverso la mediazione dell’europarlamentare Lorenzo Cesa in cambio della promessa di un “pacchetto” di voti.
Come è noto, le elezioni si sono concluse con un ottimo risultato (il secondo ma non eletto) per il capolista nel collegio uninominale di Reggio Calabria che, sebbene non eletto, è poi diventato assessore esterno al Bilancio e Politiche del personale della Regione Calabria, giunta Santelli. Natale Errigo, invece, arrestato per scambio elettorale politico-mafioso, è nella struttura del Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19 e fa parte del team per la gestione della distribuzione cui è affidata, per l’appunto, la distribuzione dei prodotti (mascherine, dispositivi per la sicurezza individuale, il vaccino anti covid) nonché il contatto con i fornitori e con le strutture destinatarie.
NICOLA MORRA
«Sono decine e decine gli ordini d’arresto e quasi 100 milioni di euro di beni sequestrati – ha commentato la notizia Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare Antimafia – un plauso sincero a questo immane sforzo investigativo che la Commissione Antimafia ha potuto seguire grazie al lavoro del suo ufficiale di collegamento DIA colonello Luigi Grasso. Ancora una volta l’azione concreta contro le mafie riporta la ricchezza nelle mani dei cittadini. Nel corso delle recenti operazioni antimafia in Italia, e parlo di poche settimane – ha rivelato ancora Morra – centinaia di milioni di euro sono tornati nelle casse dello Stato. Questo è anche un reale recovery fund che deve essere sempre attivo. Questi arresti dimostrano che lo Stato non solo è presente ma è anche più forte e tenace».
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Questa è la calabria Signori, “principini” che non sono altro che uomini di m….a, avidi, ginoranti come come capre ma ricchi come nababbi, perchè in calabria l’ignoranza è talmente tanta che oramai è diventata una risorsa…i politici farabutti oramai dominano ogni cosa, appartenenti alle forze dell’ordine marci e bavosi per denaro e agi…poi ci sono loro i colletti bianchi giudici, amministratori, professionisti, avvocati e giudici ecc quelli sono i peggiori…peggio della manovalanza criminale che con minacce e violenza impone la sua sporca presenza nella nostra terra. Non basta il nostro unico eroe Nicola Gratteri per sconfiggere tutto questo, perchè la ndrangheta è prima di tutto cultura ndranghetista…per questo motivo il 90% dei calabresi sono ndranghetisti alcuni anche senza volerlo e mi riferisco a tutti quei poveri cristi che si piegano a lavori mal pagati a 10/12 ore al giorno a meno con stipendi miserevoli…mentre i loro datori di lavoro si arricchiscono a dismisura. Ogni settore economico on Calabria funziona così…supermercati, edilizia, studi professionali, commercio, servizi, in ogni settore economico si sfrutta il dipendente senza che nessuno accerti la reale paga che i dipendenti percepiscono..nessuno ha capito che così si congela una regione, con uno stipendio da fame..i giovani non si aggiornano e non studiano…i padri di famiglia frenano la loro crescita personale e professionale e soprattutto quella dei loro figli mandandoli solo a scuole che “possono permettersi” …tutta la regione si ferma e i vermi che se la mangiano proliferano tenendo prigionieri migliaia di schiavi. Il procuratore Gratteri dovrebbe porsi questo problema…in Calabria il 90% delle partite iva non rispettato i CCNL oppure falliscono per poi riaprire sotto altro nome, una task force per verificare tutte ma dico tutte le paghe dei dipendenti calabresi e i loro orari di lavoro riposi ecc. Infine i dipendenti publici fancazzisti e imboscati per questi invece il discorso è esattamente contrario. Ce ne sarebbero di cose da dire sulla società Calabrese ma, purtroppo per noi, di Nicola Gratteri ne esiste uno solo.