Sow Dou Dou, il bracciante intervistato
3 minuti per la letturaCOSENZA – «C’è chi la mattina si sveglia e non ha neanche i soldi per fare colazione. Allora è normale porsi una domanda: continuo a fare questa vita, che è una condanna alla fame, o parto rischiando di morire? Non ci sono molte altre alternative». A parlare è il bracciante Sow Dou Dou che, nel video di “Popoli e Missione online”, edito da Missio, l’organismo pastorale della Cei, descrive la condizione di chi arriva da lontano e in terra straniera non ha diritti, specie quello al lavoro, al lavoro pulito, vero.
Nel video-racconto, intitolato non a caso “Braccianti, non schiavi!” – che è un vero e proprio viaggio compiuto da Cosenza fino al ghetto di San Ferdinando (l’intero reportage a cura di Ilaria De Bonis e Giovanni Rocca è stato pubblicato sulla rivista “Popoli e Missione”) -, si fa, dunque, luce sui migranti irretiti dal caporalato, su coloro i quali sono soggetti a logiche schiaviste e di sottomissione.
«L’ultima parola – racconta ancora Dou Dou – è sempre di chi ti fa lavorare, anche se non ti paga regolarmente e anche se non tiene conto di quando e quanto stai male». Parole, queste ultime, assai chiare: rischiare la vita e poi salvarsi può equivalere a conoscere l’inferno. Motivo per cui, considerate certe realtà brute presenti nelle campagne del Sud, esiste anche chi – tra associazioni, volontari e Chiesa – cerca soluzioni per invertire la rotta, per aiutare chi è fragile attraverso vie di fuga dal caporalato e forme di lavoro regolare. In Calabria, grazie a Migrantes fino a Rete No Cap (l’associazione che dal 2011 contrasta il caporalato in agricoltura ed eroga anche servizi gratuiti come il trasporto, la fornitura di alloggi e l’assistenza legale), passando da tantissime altre voci che si impegnano strenuamente allo scopo, numerosi sono i progetti tramite cui si cerca di tutelare i migranti, allontanandoli dal sommerso e offrendogli contratti seri.
Sow Dou Dou, dopo aver raccolto mele a Trento, olive a Trapani e arance a Rosarno, è, per esempio, riuscito a entrare nel circuito No Cap. «Ora – dicono video e reportage – Dou Dou lavora in un’azienda agricola, a Roggiano Gravina, nel Cosentino, fuori dai radar dei caporali». Una storia, insomma, di sopravvivenza e di riscatto. Per moltissimi – lo mostrano le immagini da San Ferdinando e le parole di chi dai ghetti dice che «qui è un inferno» – va tuttavia diversamente. «Il Governo e l’Europa devono capire che quando si parla di migrazioni si gioca la partita della civiltà e della vera democrazia – afferma nel video monsignor Franceso Savino, vicepresidente della Cei per l’Italia meridionale -. Io, davanti alle bare di Steccato di Cutro, ho chiesto perdono. E – continua il vescovo di Cassano allo Jonio – ancora adesso mi chiedo se quegli uomini, quelle donne e quei bambini potevano essere salvati. Tuttora ritengo di sì, e che questa tragedia non ci abbia insegnato nulla: quando tuteleremo – conclude – i nostri fratelli? Quando gli garantiremo diritti e prerogative, tra cui la possibilità di lavorare nella legalità?». Domande necessarie, importantissime. Soprattutto davanti a situazioni barbariche, che devastano molte aree del Paese e sì, anche e soprattutto della Calabria.
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