X
<
>

Share
6 minuti per la lettura

Preoccupanti i numeri su femminicidi e reati spia in Calabria. Ma molte le donne che non denunciano, per timore, vergogna o perché impossibilitate

SONO centosei le vittime di femminicidio dall’inizio dell’anno a oggi in Italia. La vittima più giovane aveva tredici anni mentre quella più anziana novantacinque. L’età media delle donne uccise si aggira intorno ai cinquantacinque anni e si conta un solo caso di stupro prima dell’omicidio e dodici casi di donne ammazzate nonostante le denunce e le segnalazioni. Tre persone uccise erano sex worker e sono otto i minori che hanno assistito alla morte della madre mentre altri quarantaquattro sono rimasti orfani. In novantuno casi di omicidio l’età media degli uomini che hanno commesso i delitti si aggira intorno ai 54 anni e mezzo, con il più giovane di 17 e il più anziano di 88. Trentadue uomini colpevoli si sono suicidati, altri sei hanno tentato di suicidarsi e in quarantuno casi l’assassino era il marito o il convivente mentre in quattordici casi a compiere il delitto è stato l’ex partner.

Sono questi i numeri dei femminicidi in Italia che raccontano una realtà dove le leggi e l’impegno delle associazioni sui territori non sono riusciti ad arrivare prima degli uomini maltrattanti.

Anche dal rapporto sul fenomeno delle violenze sulle donne in Calabria, redatto sulla base dei dati forniti dalle Questure e dai Tribunali, i numeri ci restituiscono una situazione preoccupante.

«Ad oggi, però, – precisa Lucia Lipari, componente dell’Osservatorio regionale sulla violenza di genere – non c’è un vero e proprio monitoraggio adeguato sul fenomeno e quindi ciò che abbiamo potuto recuperare sono soltanto dati del servizio analisi criminale che sostanzialmente fotografano i cosiddetti reati spia, quelli previsti dal codice rosso: stalking e maltrattamento in famiglia. Il confronto tra la realtà calabrese e quella delle altre regioni italiane ci fornisce tuttavia un quadro sconfortante perché la nostra regione è sopra la media nazionale per i reati spia e per i femminicidi con una percentuale dello 0,33 per cento, mentre è sotto la media nazionale per i reati di violenza sessuale. Rispetto ai dati Istat sugli accessi ai pronto soccorso per motivi di violenza, la Calabria si colloca agli ultimi posti anche se ritengo che ci sia molto sommerso e i dati reali non siano correttamente pervenuti».

Sono tante le donne soggette a maltrattamenti che non denunciano per timore, vergogna o perché impossibilitate per questioni economiche ad allontanarsi dalla casa in cui vivono con i loro mariti o compagni maltrattanti e il loro grido di dolore rimane chiuso all’interno delle mura domestiche, condiviso solo con i figli che diventano a loro volta vittime di una violenza agita quotidianamente, che produce spesso danni difficilmente riparabili se non inseriti in contesti protetti con supporti psicologici adeguati. E ad ogni caso di femminicidio – il caso di Giulia Cecchettin lo dimostra – si assiste a una forte reazione della società civile alla quale non corrisponde un’azione politica altrettanto efficace.

«La spettacolarizzazione del tema favorisce spesso l’entrata in scena di persone distanti che si pronunciano a vario titolo ma che sul fenomeno della violenza di genere non lavorano concretamente – spiega Lucia Lipari –. Anzi, proprio questi interventi sparsi e occasionali non agevolano né la nascita di un movimento e neanche una reazione adeguata rispetto a quella che è sia la percezione sociale che quella reale del problema».

Proprio nei giorni scorsi l’Osservatorio regionale sulla violenza di genere ha promosso una giornata di lavori, gli stati generali, per lanciare nuove strategie di contrasto e prevenzione a livello nazionale.

«Io ho proposto il mio format di lavori – continua Lipari – dal titolo “Ginestra” per evidenziare la resilienza, il coraggio e la forza delle donne che dicono no e l’obiettivo era quello del coinvolgimento degli altri osservatori regionali per poter trovare un quadro di sintesi sul fenomeno. Ci siamo confrontati con esperti e addetti ai lavori sul monitoraggio e le strategie normative per arginare il fenomeno, i modelli culturali e gli interventi possibili per scardinare gli stereotipi di genere con particolare attenzione sui format e l’imprenditoria femminile.

Un altro aspetto interessante dell’incontro è riconducibile all’intenzione del presidente del Consiglio Filippo Mancuso di siglare subito un protocollo che riguarda sia le soluzioni abitative a favore delle vittime di violenza che non riescono a trovare accoglienza presso le case rifugio ormai sature, che nei confronti delle donne che vogliono iniziare un percorso di autonomia che consenta loro una vera ripartenza secondo criteri di equità e trasparenza. Sarà anche necessaria una cabina di regia snella capace di valutare i casi e seguirli con la massima attenzione coinvolgendo anche altri enti territoriali».

I percorsi di liberazione e di emancipazione dal fenomeno della violenza sulle donne passano attraverso interventi multipli. C’è chi ritiene che sia preferibile un approccio repressivo, chi formativo o legislativo, pedagogico, sociologico ma, come sottolinea Lucia Lipari, tutto può convergere ed essere racchiuso in due parole: «approccio culturale» del problema i cui frutti, però, soprattutto lavorando con le nuove generazioni, potranno essere raccolti almeno tra dieci anni.

«Sì – precisa – è impensabile immaginare oggi un sovvertimento sociale complessivo. È ovvio che il problema è culturale. Il sistema patriarcale di cui tanto si parla si traduce in una disparità di genere importante e poi è sotto gli occhi di tutti che l’Italia retrocede sulle politiche di genere rispetto agli altri Paesi europei. Le donne non siedono sulle poltrone di potere, sono una minoranza e i carichi di lavoro e le remunerazioni tra uomo e donna sono profondamente differenti. Questa diversità frena il processo sociale, culturale ed economico di tutti noi ed è ovvio che si va ad incrementare la violenza perché le donne sono sotto scacco non solo per i soprusi fisici e psicologici ma anche e soprattutto per la disparità economica che non permette alle donne di emanciparsi specie se sono madri.

Rispetto alle risorse, poi, un dossier di ActionAid mette in evidenza che nel 2022 sono stati stanziati diciassette milioni mentre per il 2023 solo cinque. Questi sono i dati e la percezione sociale del problema che c’è in questo momento storico sull’onda emotiva di quello che è appena successo, produce un effetto bobbing che non aiuta a comprendere fino in fondo la situazione. Il telespettatore ha un rigurgito rispetto a questa impennata di notizie. Anche l’informazione giornalistica dovrebbe puntare di più su un’informazione di qualità che dia le notizie con cautela senza mirare esclusivamente a favorire l’onda emotiva ma proporre approfondimenti, fare un giornalismo meno spettacolarizzato e più ponderato.

A tal proposito è nostra intenzione siglare un protocollo regionale con l’Ordine dei giornalisti perché il linguaggio è fondamentale nella narrazione di alcuni eventi, linguaggio che risulta spesso inappropriato e che viene amplificato lanciando messaggi sbagliati e fuorvianti. Bisogna trattare alcuni argomenti con delicatezza e rigore considerando l’opportunità di un’intervista a una vittima di maltrattamenti perché questo significa non solo sottoporla allo strazio del ricordo ma anche darla in pasto a curiosità morbose che alimentano giudizi e pregiudizi».

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE