La portavoce nazionale del Forum del Terzo Settore Vanessa Pallucchi
5 minuti per la letturaCATANZARO – “Mai più stragi”. All’insegna di questo slogan il Terzo Settore si mobilita a sostegno del procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, e di quanti hanno perso o rischiano la vita a causa delle organizzazioni criminali. Il primo passo è stato il flashmob del 23 maggio scorso in piazza Santi Apostoli a Roma. L’appuntamento stavolta è a Milano, centro nevralgico della mafia d’affari, la città in cui comanda la ‘ndrangheta, per parafrasare il titolo di un noto libro, insomma un luogo significativo, dove una grande manifestazione è in programma il prossimo 5 luglio, alle 19, davanti alla Stazione centrale.
Le adesioni crescono di giorno in giorno. Sinora sono almeno 130 le sigle di associazioni del Terzo Settore e organizzazioni sindacali e della società civile che hanno aderito. Ne parliamo con Vanessa Pallucchi, portavoce nazionale del Forum del Terzo Settore.
“Mai più stragi”. Che messaggio si vuole lanciare con la mobilitazione a sostegno del procuratore Gratteri e perché la scelta caduta su Milano?
«Si vuole lanciare il messaggio secondo cui l’Italia non riproduce meccanismi di isolamento nei confronti dei magistrati impegnati nel contrasto alle mafie. Il Forum del Terzo Settore aderisce alla manifestazione, in particolare, perché vuole contribuire a costruire un humus positivo fatto di reciprocità, cura e attenzione che rendono i territori più forti anche contro le infiltrazioni culturali dell’illegalità e della malavita organizzata. Milano è un fulcro perché oltre ad essere la capitale morale di un’Italia che si rinnova, la città più innovativa, essendo crocevia di affari diventa una vetrina nella quale leggere come le mafie s’insinuano nelle società. Dove ci sono importanti giri d’affari accade anche questo. Il Terzo Settore essendo portavoce di un mondo di relazioni economiche diverse, di prossimità, di piccola scala ma di più attenzione ai territori, vuole anche contribuire a difendere un’economia sana. E questo è parte di un processo che va verso un modello di inclusione, di legalità e di qualità».
Il progetto di attentato ai danni del procuratore Gratteri è balzato all’attenzione mediatica quasi contestualmente alla mancata nomina a procuratore nazionale antimafia. Una vicenda che ha fatto discutere anche perché le sue competenze sul fenomeno mafioso, soprattutto per quanto concerne la ‘ndrangheta, l’unica organizzazione criminale presente in tutti i continenti, sono riconosciute anche in ambito internazionale. Gratteri rischia, oltre alla vita, anche l’isolamento e la delegittimazione?
«La mancata nomina ha dei precedenti, ci sono delle analogie con la vicenda Falcone. I nostri magistrati in prima linea, quelli che aprono filoni d’inchiesta mai esplorati e arrivano al cuore delle organizzazioni che assediano i territori, non vanno isolati. Occorre costruire una cintura sana di solidarietà, di forte appoggio e considerazione, di perenne allerta. Dobbiamo farlo sentire forte come Paese. Il Terzo Settore, in particolare, utilizza la relazione con questi magistrati per costruire senso civico».
Il contrasto alle mafie non può essere delegato a magistratura e forze dell’ordine. L’antimafia sociale è fatta di persone concrete che ci mettono la faccia. La mobilitazione pro Gratteri che parte dal Terzo settore operante al Sud e in particolare in Calabria ha una valenza emblematica…
«Soprattutto al Sud molte delle esperienze innovative in campo sociale le ha realizzate il Terzo Settore e questo ha costituito una deterrenza molto forte. La cura dei diritti sottrae potere alla malavita organizzata. Per esempio con la restituzione alle comunità dei beni confiscati si aprono processi nuovi. Laddove c’è fragilità e malcontento sociale, c’è più permeabilità alle mafie, c’è una cultura della mafia che diventa mentalità diffusa. Dobbiamo scongiurarlo. Anche per questo non bisogna lasciare soli i magistrati come Gratteri».
Il Pnrr è un’occasione per il Terzo Settore, che ha a disposizione nuove risorse per potenziare servizi e infrastrutture sociali, ma da più parti è stato lanciato l’allarme per le possibili infiltrazioni mafiose…
«Il Pnrr purtroppo, come tutti gli ambiti attorno a cui ruotano risorse, ha questo rischio. Quello che è importante è che si rendano protagonisti le amministrazioni e i territori. Il ministero della Coesione sociale ha emanato un bando per la valorizzazione dei beni confiscati escludendo il Terzo Settore e questo è stato un errore politico. Quando si indirizzano i fondi cerchiamo obiettivi di rete sociale diffuse e non concentriamo nelle mani di pochi la progettazione. La coprogettazione di più soggetti è necessaria, più ampia è la piattaforma e più si lavora. I fondi del Pnrr non sono fondi normali, sono fondi che cambiano le infrastrutture. Molto è previsto in materia di edilizia scolastica, ad esempio, ma se attorno a questo creiamo una presenza sociale forte con gruppi partecipati ci sarebbe un controllo e e una condivisione in cui le mafie difficilmente riusciranno a inserirsi. Facciamo in modo che i fondi del Pnrr finiscano sui territori incrociando interessi collettivi e non individuali, altrimenti si rischia che i grandi appalti siano fagocitati da sistemi poco limpidi. In Italia c’è una storia in tal senso. Il Pnrr è dedicato alle prossime generazioni a cui non possiamo mangiare il futuro».
Si riferisce, ovviamente, all’esperienza del bando per otto regioni del Mezzogiorno per la valorizzazione di beni confiscati nell’ambito del Pnrr, peraltro più volte prorogato per l’assenza di progetti da parte dei Comuni…
«Sì. In Italia il Terzo Settore ha un know how sui beni confiscati. In Italia la storia del riutilizzo ai fini sociali dei beni confiscati viene raccontata soprattutto dal Terzo Settore».
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