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La manifestazione degli studenti a Cosenza

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COSENZA – Alle 9 di mattina, con una puntualità svizzera mai registrata in altre manifestazioni, sotto il sole di una primavera anticipata che porta freschezza alla vita, al tempo del Covid (quasi tutti mascherati), sullo stesso percorso (più o meno) dei cortei di padri e madri che a Cosenza sfilarono per ottenere l’università, per i Movimenti, per le lotte sindacali, per la libertà dei No global arrestati ingiustamente, sfila il primo corteo indetto per un Me Too scolastico che non ha precedenti in Italia.

Una manifestazione di avanguardie in rappresentanza del senso comune condiviso, cioè quello di protestare contro una presunta vicenda di molestie sessuali a scuola, clamorosa ed eclatante. In verità si manifesta anche contro l’alternanza scuola-lavoro che uccide gli studenti e per il protagonismo giovanile, appendice all’ordine del giorno in tutta Italia.

La manifestazione ha trovato il supporto organizzativo di “Prendocasa” e delle avanguardie militanti aduse alla mobilitazione. Non si è trattato di mettere un cappello politico al punto di sbocco della protesta del “Valentini-Majorana” che celebra lo sfratto dalla scuola della dirigente accusata di non aver fatto il suo dovere ma un dovere a supporto di chi lotta.

Il furgoncino diffonde musica rap, i fumogeni si accendono a dar colore, il look dei millennial è prevalentemente sul nero secondo moda di stagione, tante ragazze fiere della loro consapevolezza, alcune con lo skate in mano.

Lo striscione di apertura recita “Abusi, alternanza, repressione” che frulla scintilla e prospettiva e sul secondo rigo ammonisce “No alla scuola dei padroni”, uguale al verso della canzone di Paolo Pietrangeli per Valle Giulia. Bandiere di Che Guevara, sventola pure quella della Brigata Garibaldi partigiana, in fondo al corteo anche quelle della Cgil e della Fiom.

I ragazzi e le ragazze preferiscono cartelli fai da te. “Meno abusi, più rispetto”, “Se non ti dimetti non ce ne andiamo”, un fumetto recita “Una risata ci seppellirà” rovesciando il celebre adagio del maggio francese, “No alle molestie” con tante mani attorno, e poi “Dire la verità è un atto di rivoluzione” su un cartello multicolore che ricorda i lavori di gruppo delle scuole e poi “I porci stanno con i porci” che manda in pensione l’antico “porci con le ali” quando il sesso non era molestia ma gioia e rivoluzione. Non mancano cartelli scritti in inglese, segno di una generazione poliglotta, che s’informa e vive in Rete, che dell’istruzione fa la partita decisiva.

I cori più riusciti sono quelli di cultura ultrà, una tradizione locale radicata che viene dagli anni Ottanta. Il portavoce del “Valentini” al microfono s’impegna tanto, ma è complicato ottenere la risposta di massa di molti studenti che sono al loro primo corteo. Va meglio quando si citano nomi di scuole aderenti, e soprattutto quando si prende di mira la preside. Un signore anziano s’impossessa del microfono per denunciare le sue sventure con banche e giustizia, i ragazzi concedono due minuti e si ritorna alle parole d’ordine della giornata. Il giornale parlato del corteo dice no ai papabili dirigenti della scuola della vergogna, si denuncia un liceo in cui la dirigente ha minacciato gli studenti di provvedimenti in caso di partecipazione.

Poliziotti vigili ma rilassati, un ragazzino con una bomboletta spray viene pizzicato mentre sta per sporcare un muro di via Rivocati, se la cava con una ramanzina. Solidarietà agli attivisti denunciati per altre manifestazioni a Cosenza dal megafono, non dovrebbero esserci altre sanzioni, almeno così si spera.

La scuola del bubbone è presente in buona rappresentanza, ci sono anche 3 studenti delle classi del professore presunto molestatore. I docenti, dice Gabriele Petrone, che ci ha messo faccia ed esperienza politica nella protesta, “sono 20-25”, gli altri cento sono rimasti a casa, come molti studenti del Valentini. C’è anche la mamma-professoressa che ha avuto il figlio pestato a sangue qualche mese addietro.

Si rivede qualche vecchio trozkista che di manifestazione non ne ha mai persa una, Antonino Campennì dell’Unical non perde contatto con i ribelli della nuova generazione, Elisabetta Della Corte docente e ricercatrice di rivolte sociali, Mariella docente in pensione e femminista che pensionò Lotta Continua come organizzazione troppo maschilista, Massimo Ciglio, dirigente scolastico, che nelle scuole da ragazzo ha forgiato il suo pensiero critico. Singole presenze di un mondo passato che ha generato questo nuovo tutto da scoprire. Pochi ma buoni si sarebbe detto un tempo, ma molte sigle e realtà di riferimento sono mancate all’appello degli studenti in lotta per il rispetto di genere e contro il dirigismo aziendale scolastico che ignora bisogna e diritti.

Da Acri e San Fili sindaci con la fascia, la deputata Enza Bruno Bossio, con i figli , scatta foto a ripetizione e scambia pareri con compagne della vecchia generazione, l’aspirante segretaria del Pd in pectore, Lucanto, sfoggia una t-shirt “Siamo tutte coinvolte”.

Davanti all’Ufficio scolastico trionfa la presunta molestata. Legge gli appunti sullo smartphone, tra l’altro la sua brutta vicenda di revenge porn al “Valentini” si è palesata con la ripresa di un telefonino di un fidanzatino che ha tradito la sua fiducia. Sessismo e intimidazione, derisione e esclusione sono il paradigma di questo corteo.

All’assemblea in piazza dei Bruzi prendono la parola un rappresentante dei Cobas con lessico da sindacalese da combattimento. Poi Antonella Veltri, autorità nazionale per l’impegno contro la violenza sulle donne e anni di lotte nei decenni, trova le parole giuste per rivolgersi “alle parti sane” che hanno preso coscienza e ribadisce il suo collettivo “noi ci siamo”, rafforzando il legame che si è creato nei giorni di occupazione. Segue una giovane studentessa con eloquio colto e piano e la consecutio perfetta. Anche lei legge gli appunti dal cellulare ricevendo applausi. È la figlia di Ciccio Gaudio, leader storico della gauche estrema bruzia che gli interventi li recitava a braccio ma senza la freschezza della sua erede. Arriva Dario Cardamone. Si è alzato alle 5 a San Giovanni in Fiore per essere presente. Sembra un ragazzo d’altri tempi con l’orologio al polso. Parla un italiano vibrante e articolato per passaggi esaltando parole come “libertà” e “ dignità” con una lievissima inflessione silana. Tiene la scena da grande. Gli applausi lo sovrastano.

Si torna a casa. A Torino la manifestazione degli studenti ha provocato 8 feriti tra i carabinieri. I media nazionali parlano quasi solo di quella. La prima manifestazione studentesca “Me too” ignorata. La società dei social-spettacolo non perdona. Tutto si consuma in fretta. Ma qualcosa di nuovo ieri a Cosenza è accaduto.

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