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Ribaltata ordinanza del Gip che aveva bocciato tesi della Procura, in Lombardia le mafie in consorzio evitano scontri e massimizzano profitti


«A Milano si fanno le cose giuste». «Qua siamo tutti e tre… siamo tutti insieme… siamo tutti una cosa». «Asse non asse… costruiremo tutto con i proventi di Milano… con i proventi di Calabria… con i proventi di Sicilia…tu prendi i soldi da Milano da investire a Roma». Non è una “nuova mafia”. Ma un’associazione mafiosa che «presenta caratteri di novità esclusivamente sotto il profilo operativo». Non è una struttura “verticistica”. Ma una confederazione “orizzontale” costituita da condannati per associazione mafiosa sia nei territori della genesi storica delle organizzazioni criminali che in Lombardia. Gente che ha un suo “retaggio” all’interno di strutture come Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra.

CONSORZIO TRA MAFIE IN LOMBARDIA COME NEGLI ANNI NOVANTA

Un’associazione «senz’altro di tipo mafioso in ragione dei collegamenti e delle autorizzazioni delle case madri», nonché delle logiche che sottendono alla regolazione dei rapporti tra gli affiliati, con quelli di maggiore spessore criminale che dirimono controversie. Un’associazione che ha il suo antecedente storico nel “consorzio” tra le mafie siciliana, calabrese e campana già nei primi anni ’90, come attestano pronunce giudiziarie e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, ad esempio quelle che narrano dei summit in cui venne condivisa la strategia stragista. Ma, dopo tanto tempo, si è registrata «l’inevitabile modifica soggettiva e operativa delle componenti».

Tanto più che nel territorio milanese c’era bisogno di creare una “struttura articolata”, nel corso delle indagini rivelatasi “unitaria”, che mirasse a «evitare conflitti e massimizzare profitti». La pm Alessandra Cerreti alla fine ha avuto ragione e il Tribunale del riesame di Milano ha smontato, dopo un anno, l’ordinanza del gip Tommaso Perna che aveva stroncato quella che sembrava un’inchiesta da manuale. Quella condotta dalla Dda e dai carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, che aveva portato all’operazione “Hydra”, dal mostro mitologico con sette teste che una volta tagliate ricrescono.

CONSORZIO TRA MAFIE IN LOMBARDIA, IL RUOLO DI MASSIMO ROSI

Il Tribunale ritiene che il gip abbia “parcellizzato” o addirittura “banalizzato” dati probatori che attestano, invece, l’esistenza del “sistema mafioso lombardo”. Sono sei le posizioni ribaltate dal Riesame, che ha ordinato arresti non ancora esecutivi. Come si ricorderà, il gip ne aveva disposti soltanto 11 a fronte di 153 richieste di misure cautelari. Ma quello che rileva è il ragionamento del collegio giudicante presieduto da Luisa Savoia sulla super associazione mafiosa.

Lo ripercorriamo esaminando il provvedimento che riguarda Massimo Rosi, tra i principali fautori del “consorzio” in qualità di esponente della componente calabrese, intercettato mentre è alle prese con una frenetica attività di ricostituzione del “locale” di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo, articolazione nel Varesotto della cosca Farao Marincola di Cirò, dominante in buona parte del Crotonese e del Cosentino jonico e con diramazioni in Nord Italia e all’estero. Rosi era uno degli undici arrestati ma il gip aveva escluso la mafiosità dell’associazione. Per il Riesame va mantenuto in carcere anche perché progettava la latitanza in Spagna.


CRITICA AL METODO

I giudici ritengono, innanzitutto, che il gip abbia compiuto una «valutazione frazionata ed atomistica» degli elementi indiziari acquisiti dagli inquirenti, trascurando, invece, una valutazione unitaria. Insomma, una «lettura parcellizzata» di elementi offerti dall’accusa, come la creazione di una cassa comune per il sostentamento dei detenuti, la costituzione di società, reati in materia di estorsioni, droga e armi. L’errore di metodo è stato ritenere tutto ciò insufficiente a fini probatori senza compiere una valutazione “di insieme”.

Addirittura per il gip l’esistenza di contrasti deponeva a sfavore dell’associazione mafiosa, considerazione che non tiene conto di indicazioni che emergono da sentenze passate in giudicato che hanno frequentemente dimostrato dissidi all’interno di compagini criminali. Dissidi spesso rivelatori di accordi pregressi. Il gip compie una “svalutazione” perfino del pagamento delle spese dei carcerati, «attività tipica dell’associazione mafiosa sviluppata da tutte le mafie storiche che destinano denaro all’assistenza dei detenuti e delle loro famiglie e a fronteggiare esigenze economiche improvvise degli affiliati, come processualmente accertato da numerose sentenze». L’affectio societatis ravvisata, per esempio, dalla storica sentenza Infinito emessa proprio a Milano. Quella che ha accertato la struttura unitaria della ‘ndrangheta. «Discutibile» anche la «generalizzata bocciatura» della partecipazione ai summit. L’inchiesta ne ha ricostruito una ventina e spesso affrontavano questioni scottanti per la vita del sodalizio criminoso.


LEGAMI CON MAFIE STORICHE

Un tema che si riverbera sulla mafiosità dell’associazione è quello dei legami con le mafie storiche, supportati “pienamente”, secondo il Riesame, dal materiale probatorio. Come si ricorderà, l’ipotesi accusatoria indica molti indagati inseriti nelle più note consorterie mafiose. Cosa nostra, perché si parla della famiglia palermitana dei Fidanzati, di quella trapanese facente capo a Matteo Messina Denaro quando era vivo, di quella gelese dei Madonia-Rinzivillo, di quella catanese dei Mazzei. ‘Ndrangheta, perché si parla del “locale” di Legnano-Lonate Pozzolo, cellula al Nord della cosca Farao Marincola di Cirò, dei Iamonte di Melito Porto salvo, dei Romeo “Staccu” di San Luca.

Si parla anche della famiglia camorristica dei Senese attiva anche a Roma. Lo spostamento da una compagine all’altra, in alcuni casi, è «una delle più evidenti manifestazioni dell’unitarietà della struttura». Perché quella transizione è «resa possibile dall’unità di intenti, dalla ferma volontà di mantenere in essere la struttura “ospite” che consenti a tutti di raggiungere il fine del profitto». Il legame con l’omologo gruppo criminale operante nella casa madre resta per la sua “valenza mafiosa”. Nel caso del “locale” di ‘ndrangheta di Legnano, per fare un esempio, è dimostrata dalla solita sentenza Infinito oltre che dalle successive sentenze Bad Boys e Krimisa.

Al vertice del sodalizio è sempre Vincenzo Rispoli, nipote del boss cirotano Giuseppe Farao, del quale Rosi è genero oltre che plenipotenziario. Il nonno dell’indagato Antonio Romeo è Sebastiano Romeo, capo locale di San Luca e vertice dell’organizzazione mafiosa dedita al traffico di stupefacenti con base operativa a Milano come acclarato sempre dalla sentenza Infinito. Ma ci limitiamo soltanto alla componente ‘ndranghetistica. Gli esempi che si potrebbero fare sono tanti. Di sentenze irrevocabili che attestano l’operatività di gruppi mafiosi siciliani in Lombardia è piena zeppa la storia giudiziaria. Basti pensare che presunto esponente di spicco del “consorzio” è quel Giuseppe Fidanzati figlio di Stefano e nipote di Gaetano, entrambi irrevocabilmente condannati come esponenti di Cosa nostra, il secondo capostipite dell’omonimo clan insediato a Milano dagli anni ’90 e attivo nel traffico di droga. Ma analoghe credenziali mafiose sono vantate dagli esponenti di camorra.


LA MAFIA AUTONOMA DEL NORD

«La Calabria se la prende lui, Romeo… a Roma se la vedono loro, per quanto riguarda la Sicilia andremo noi». Pietro Mannino detto” l’architetto” discuteva di progetti imprenditoriali con il palermitano Giuseppe Fidanzati e faceva riferimento ai “massoni”, ad “amici” a Roma, a un generale dei servizi segreti che aveva svelato che il nome di Romeo in una società suscitava le attenzioni degli inquirenti. Il calabrese Rosi a un altro incontro diceva che il “cardiologo” loro lo avevano già. Sono incontri in cui si discute di distribuzioni occulte di quote e che confermano che è in Lombardia che si pianificano gli “affari”, facendo sempre riferimento ad esponenti delle mafie storiche stanziate nei vari territori.

I legami sono perfino con familiari di Messina Denaro, allora latitante, le cui ambasciate vanno a buon fine. C’è un’affermazione, in particolare, che svela «un forte collegamento con le mafie storiche». Gli inquirenti la attribuiscono a Gioacchino Amato, imprenditore siciliano ritenuto il fulcro dell’organizzazione criminale nel Milanese. «Asse non asse… costruiremo tutto con i proventi di Milano… con i proventi di Calabria… con i proventi di Sicilia…tu prendi i soldi da Milano da investire a Roma».

E ancora: «Abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano passando dalla Calabria e da Napoli». I legami con le mafie storiche non limitano però l’autonomia operativa al Nord del “consorzio” e i vari sottogruppi in cui il sodalizio si coagula si muove in virtù di specializzazioni senza necessariamente rispondere alle organizzazioni di appartenenza. I calabresi Crea collaborano con i trapanesi Pace per gli illeciti fiscali. Amico, reggente dei Senese, collabora con Giuseppe Fidanzati e quindi con la mafia palermitana e coinvolge i calabresi Rosi e Romeo nei traffici.

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