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Duro j’accuse delle Camere penali sul caso del giornalista del Quotidiano del Sud, Paolo Orofino, spiato con un trojan dall’autorità inquirente. «Abusi dell’autorità inquirente contro la libertà di informazione e un silenzio stampa totale»:
COSENZA – Nei primi giorni dell’anno Paolo Orofino, giornalista de Il Quotidiano del Sud, ha scoperto di essere oggetto di intercettazioni. Spiato dalla Procura di Salerno con un trojan nel telefonino. Una intercettazione partita nel 2020, durata due mesi, durante la quale Orofino non era iscritto come indagato in quel procedimento penale. A prendere posizione sul caso adesso è il coordinamento della camere penali calabresi, in particolare quelle di Castrovillari, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Lamezia Terme, Locri, Palmi, Paola, Reggio Calabria, Rossano e Vibo Valentia.
«Il giornalista Paolo Orofino spiato col trojan. Attacco degli apparati investigativi e silenzio stampa, (quasi) totale. Chi imbavaglia, per davvero, la libertà di informazione?» – si chiedono i presidenti e il coordinatore delle camere penali calabresi
GIORNALISTA SPIATO CON UN TROJAN, LE CAMERE PENALI: «UN SILENZIO ASSURDO»
«Si levano scudi – si legge in una nota – ogni qualvolta si denunzia l’abuso delle intercettazioni e si invoca la necessaria “separazione delle carriere” tra Uffici di Procura e mezzi di informazione. Un munitissimo blocco di potere dispone di tanta forza da essere capace anche di manipolare il dibattito pubblico sull’argomento, demonizzando l’opinione critica e anche addirittura attribuendo ad una maggioranza di governo – della cui ispirazione autoritaria nessuno in buona fede potrebbe dubitare – l’intento di smantellare la lotta al crimine. Certa stampa che campa di veline, ça va sans dire, si presta a sostenere simili incredibili paradossi».
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«Non è sorprendente, allora, – sottolinea il coordinamento delle camere penali calabresi – che passino (quasi) inosservati gli abusi dell’autorità inquirente contro la libertà di informazione. Sembra non interessare agli agiografi della democratura giudiziaria il fatto che un giornalista, nella specie Paolo Orofino de Il Quotidiano del Sud, nell’esercizio della sua professione e a motivo del suo lavoro, venga intercettato con il più potente, invasivo, indiscriminato strumento di spionaggio che la tecnologia militare ha messo a disposizione della lotta contro il Male della società».
«NON INTERESSA SCOPRIRE CHE LA “BOMBA ATOMICA DELL’INVESTIGAZIONE” POSSA ATTIVERSI VERSO CHI È ESTRANEO ALL’INDAGINE»
«Non interessa scoprire – si specifica nel comunicato – che “la bomba atomica dell’investigazione” possa attivarsi nei confronti di soggetto estraneo all’indagine (Orofino non è mai stato mai indagato nel procedimento in questione, che riguardava un Magistrato, ma è stato “spiato” solo per aver “dialogato” con lui) e sulla base di ipotesi di reato tanto evanescente da essere considerata manifestamente infondata all’esito dell’indagine esplorativa.
Nemmeno interessa la rilevanza dei diritti fondamentali soppressi da tale uso esplorativo/preventivo dell’intercettazione: la libertà e segretezza delle comunicazioni, la riservatezza della vita privata e la libertà dell’informazione che non tollerano controlli preventivi o censure. Nemmeno quando siano in gioco tali valori fondativi della democrazia liberale preoccupa l’uso di uno strumento che non risparmia alcun aspetto della vita dello spiato, relazioni personali, lavoro, opinioni, affetti, sentimenti, emozioni».
«Un patrimonio di dati sensibilissimi – continua la nota – di cui il bersaglio dell’indagine viene espropriato e del quale nemmeno potrà controllare l’uso che l’autorità vorrà farne. Perché l’apparato sarà libero di attingervi e impedire l’accesso allo stesso titolare del diritto violato. Di fronte a uno strappo così forte con la libertà e le stesse fondamenta della democrazia, ci si sarebbe attesi una reazione immediata, istintiva, corale, un’insurrezione dei colleghi giornalisti e della stampa in difesa della libertà di tutti, messa in discussione dalle modalità insidiose e invasive con le quali è stata schiacciata e compressa quella del singolo, in questo caso di Orofino.
GIORNALISTA SPIATO, LE CAMERE PENALI: «LA REAZIONE CHE CI SI ASPETTAVA NON È ARRIVATA»
«E, invece – denuncia il coordinamento della camere penali calabresi – questa reazione (caratteristica di ogni paese civile) non è arrivata. Anzi. È accaduto il contrario. Il silenzio è stato (quasi) assordante. Abbiamo così compreso che ci sono bavagli finti, sui quali si strilla, per non modificare il comodo status quo (sul cui altare un collega può ben essere sacrificato), e bavagli veri, che invece funzionano bene, e fanno paura. Eccome. E allora occorre uno scatto di orgoglio, un richiamo alla verità del nostro tempo e alla serietà delle nostre funzioni. Se all’Avvocatura compete il ruolo di “sentinella dei diritti”, ai Giornalisti è assegnato il compito di essere il “cane da guardia della democrazia”.
Avremmo dovuto (e voluto) sentire ringhiare. Speriamo, ancora, in un colpo di reni e che ciò accada. Altrimenti avremo consentito un ulteriore stato di avanzamento nel percorso di “tolleranza autoritaria” che la nostra società civile (?) sta indifferentemente consentendo. Non è ancora persa l’occasione – conclude la nota – per confrontarsi su questi temi. Anche i più ostinati alfieri dell’autoritarismo repressivo, quelli che proprio non riescono a volgere lo sguardo verso le macerie prodotte dalla visione massimalista della giustizia penale di lotta, potrebbero cogliere l’occasione, e lo speriamo davvero, per una pausa di riflessione».
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