I calciatori del Cosenza nel 1988,. Tra gli altri Bergamini (con il maglione rosso), Castagnini, Maniero, Simoni, Giovanelli, Montrone, Lombardo
6 minuti per la letturaChe il calcio scommesse non c’entri nulla con la morte di Donato Bergamini, sembra chiaro già dal 1989, ma la stessa pista è battuta senza esito tra il 2011 e il 2014, all’epoca della prima inchiesta di Giacomantonio.
Anche i suoi successori, però, vogliono togliersi lo scrupolo e consacrano al totonero una parte non trascurabile del loro sforzo investigativo.
Non si tratta di una novità dal momento che, già trent’anni addietro, anche il pm Ottavio Abate si incammina in questa direzione stimolato da una lettera anonima – una delle tante fiorite in quel periodo – che azzarda un collegamento tra la morte di Denis le scommesse clandestine gestite dalla camorra. Abbate, dunque, prende carta e penna e il 6 dicembre del 1989 chiede alla Procura di Napoli se stia indagando o meno su vicende di totonero e se vi siano collegamenti con la squadra del Cosenza.
Chiede risposte “urgenti” il pubblico ministero, e sarà accontentato. Sei giorni più tardi, sulla sua scrivania arriva un fascicolo della Criminalpol napoletana nel quale spicca dialogo fra due presunti camorristi, Sasà e Patrizio, che l’otto aprile precedente – si era di sabato – intercettati su una linea fissa commentano la domenica calcistica ormai alle porte.
Sasà sostiene di avere “due risultati sicuri”: uno è la partita Brescia-Genoa, presente in schedina e terminata in pareggio; l’altro è riferito alla partita Catanzaro-Cosenza che, in seguito, finirà con la vittoria per 3 a 0 delle aquile giallorosse. L’intercettato non rivela al telefono i pronostici vincenti, ma sostiene di aver avuto l’imbeccata da “Giovanni Di Marzio”, l’allenatore che un anno prima ha trascinato il Cosenza dalla serie C alla B e che ora ha assunto la guida del Catanzaro a campionato in corso con l’obiettivo di raddrizzare una classifica deficitaria.
Con riferimento a quell’intercettazione, il nome dell’allenatore sarà inserito in un rapporto giudiziario insieme a quelli di altre trentacinque persone denunciate per associazione di stampo camorristico, traffico di stupefacenti, ricettazione di ori e preziosi, vendita di posti di lavoro in ospedale e per quanto riguarda Di Marzio “totonero”, sospetto che aleggerà su di lui per un po’ di tempo prima che la sua posizione venga archiviata. Anche Abate, dal canto suo, opera gli accertamenti di rito, va a caccia di riscontri, ma non ne trova neanche uno in grado di mettere in collegamento quella sconfitta nel derby con i fatti tragici di Roseto.
Bergamini, peraltro, rientra in squadra proprio a Catanzaro dopo un lungo infortunio e resterà in campo solo un’ora prima di essere sostituito. Perché allora, trent’anni dopo Facciolla decide di esplorare ancora una volta quel tema specifico?
Per vedere l’effetto che fa. In quel momento, il procuratore di Castrovillari ha sotto controllo quasi i tutti i telefoni dei calciatori che hanno giocato con Denis e ritiene che notizie giornalistiche di questo tipo possano essere da loro ampiamente commentate. E così, a maggio del 2017, lancia l’esca di un finto scoop regalato a un giornalista della Rai che, in alcuni servizi televisivi, annuncia una svolta nelle indagini: niente più movente passionale, ora si segue la pista delle partite truccate con il possibile coinvolgimento del clan di Michele Zaza, pezzo da novanta della “Nuova Famiglia”.
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Facciolla non si sbaglia. La notizia coglie nel segno, ma la strategia di rimestare nel passato non apporterà nulla di concreto alle indagini in corso, se non risvegliare qualche fantasma di cui si ignorava l’esistenza. Quel 1989 è l’anno in cui il Cosenza si produce nella straordinaria cavalcata che lo porterà a un passo dalla serie A poi sfumata solo per colpa della classifica avulsa. Il ricordo di quell’impresa mancata al fotofinish è ancora vivido nella memoria dei protagonisti dell’epoca, da Luigi Simoni a Claudio Lombardo, passando per Maurizio Lucchetti e fino a Michele Padovano.
È proprio quest’ultimo a commentare le notizie più fresche con Simoni che esprime rammarico per quel sogno infranto all’ultima giornata, ma insieme all’amico parla pure di qualche compagno di squadra – non Bergamini – che avrebbe avuto il vizio di “vendersi le partite”. Su una in particolare s’incentra la conversazione: il match casalingo contro l’Empoli, disputato a maggio di quell’anno, mentre la lotta per la promozione è nel suo momento più caldo. Il Cosenza vince per 2 a 0 con una doppietta di Bruno Caneo subentrato a partita in corso, ma al fischio finale succede qualcosa di inaspettato. Simoni racconta di un giocatore toscano che si scaglia contro Alberto Urban, attaccante cosentino, rimproverando a lui e ai suoi compagni di non aver rispettato l’accordo iniziale, ovvero quello di dividere la posta in palio.
“Ma quale accordo – gli avrebbe risposto Urban cadendo dalle nuvole – noi dobbiamo andare in serie A”. Chi aveva stabilito, dal versante rossoblù, che quella partita dovesse finire in pareggio? Simoni e Padovano mostrano di conoscere l’identità di una persona che secondo loro era a conoscenza di quel patto illecito e gli affibbiano anche qualche epiteto. Non si tratta di un calciatore e il suo nome è l’unica omissione che ci concediamo in questo lungo racconto, i lettori ci perdonino.
Perché parliamo di un uomo che non c’è più, che a Cosenza ha lasciato una traccia importante, un vero gentiluomo che come tale merita di essere ricordato al netto di chiacchiere in libertà che, probabilmente, non meritavano neanche di essere trascritte. Eppure adesso stanno lì, negli atti dell’inchiesta, e ignorarle non è più possibile. C’è di peggio però.
Nel faldone c’è pure un interrogatorio richiesto da Padovano ai magistrati per parlare proprio di calcioscommesse e dintorni. Si tratta di un colloquio durante il quale il futuro attaccante della Juventus certifica come, a suo dire, quella stagione epica dal punto di vista sportivo per un’intera città sia stata condizionata da almeno una partita truccata: una sconfitta per 2 a 0 nel mese di marzo, contro una squadra di bassa classifica – il Barletta – che sulla carta i Lupi avrebbero dovuto domare con facilità. Quel giorno Bergamini non è in campo perché ancora infortunato, ma anche lui marca visita per lo stesso motivo e sostiene di essere venuto a conoscenza di quel retroscena scabroso solo a distanza di anni. L’ex attaccante aggiunge di averlo appreso da più fonti dirette pur senza indicarne una con precisione. Tuttavia, si dice certo di quanto afferma: «Noi più giovani non ci accorgemmo di nulla all’epoca, ma venirlo a sapere dopo tanti anni… ehm… ha fatto molto male».
Sì, ha fatto male pure a noi.
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