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COSENZA – L’aumento vertiginoso del carburante sta mettendo in ginocchio i pescatori calabresi. È una vera e propria tempesta quella che li sta travolgendo. «A uscita, normalmente, un peschereccio medio consuma 500 euro, ma, oggi, con i rincari, si trova a spenderne 1500», spiega Antonino Mancuso, referente del settore ittico di Coldiretti Calabria.
Prezzi, dunque, triplicati che, tra le altre cose, «vanno a incidere direttamente sui guadagni che, considerate le altre criticità che stanno investendo il settore (dal fermo obbligato a causa del Covid fino ai cambiamenti climatici), risultano già, di per sé, precari». In altre parole, i nostri pescatori si trovano in un mare di guai.
«Il gasolio – continua Mancuso – dagli 0,40 centesimi adesso costa oltre un euro. E poi, un tempo, i pescatori – chiosa ancora il referente del settore ittico di Coldiretti Calabria – riuscivano a ottenere una dilazione sul pagamento del carburante, in virtù del fido bancario in capo ai distributori: tuttavia se adesso il prezzo del carburante aumenta, il fido si consuma prima e quindi anche la dilazione si accorcia».
I FATTORI CHE INCIDONO SULLE PERDITE
Il caro carburante “pesa”, inoltre, di più a seconda del tipo di pesca posta in essere. «Nel caso della circuizione (il metodo usato per “catturare” le specie che vivono in banchi, come le sardine, le acciughe, gli sgombri o i tonni) o dello strascico (in tal caso la rete viene trainata sul fondo del mare) i consumi di gasolio sono maggiori: il peschereccio non sta fermo, ma si sposta, cammina», afferma Mancuso. E aggiunge: «In più le imbarcazioni calabresi sono vecchie in media di trent’anni: ovvio che con un motore che non è nuovo, i consumi aumentino».
GLI AIUTI
«Tutto ciò che a livello istituzionale finora è stato stanziato o previsto – prosegue Antonino Mancuso – non basta; il 20% di fondi sul differenziale è insufficiente a coprire le spese. L’appello, pertanto – sottolinea il referente del settore -, è che ci si sieda a un tavolo e si cerchi effettivamente di venirci incontro, magari con sconti diretti, immediati».
D’altronde, in questa situazione, non sembrerebbe esserci altra scelta. «Se il clima è incerto – dichiara Mancuso – i pescatori preferiscono non uscire: se si uscisse si rischierebbe esclusivamente di spendere, senza portare a casa alcunché».
L’ALLARME SICCITÀ
E poi, come anticipato, c’è il problema “cambiamento climatico” da tenere in considerazione. «La pesca è cambiata – dice sempre Antonino Mancuso – Nei mari calabresi si rinvengono esemplari rari: dal pesce volante a quello pappagallo; al contrario – continua -, con il prolungamento dell’estate che abbiamo avuto e le altissime temperature delle acque, siamo andati incontro a una vera e propria “perdita” del pescato tipico: scarso, ad esempio, il pesce azzurro».
IL FUTURO DEL SETTORE
Così, tutte queste problematiche vanno ad incidere (negativamente) sul settore ittico che, nel 2023, non è di certo quello assai florido e radicato sul territorio di un tempo. Del tempo, per esempio, in cui a narrarlo era Vittorio De Seta: quel mondo – tutto in festa per la “presa” del pesce spada – sembra ormai perduto. «È un mestiere quello del pescatore – dice a tal proposito Mancuso – che oggi non si tramanda più, che non è al passo coi tempi essendo prevalentemente maschile e che, soprattutto, ha bisogno di “modernizzazione”».
Diversi i suggerimenti del referente di Coldiretti Calabria. «Serve – afferma – “ristrutturare” le barche e principalmente valorizzare il prodotto: i pescatori sono gli unici a subire rincari e a non alzare i prezzi, dal momento che se così fosse a “farli fuori” ci sarebbero immediatamente i prodotti concorrenti importati».
Un futuro, pertanto, non roseo quello dei pescatori calabresi che davvero sono rimasti in pochi. «Iscritte al registro del settore ci sono circa 800 barche, prima erano oltre 1200, e – termina Mancuso – sono in gran parte sotto i 12 metri: le operazioni che svolgono sono ridotte. Ecco – conclude – perché è importante non perdere chi è rimasto e, contro tutto e tutti, oggi continua a resistere».
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