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ROMA – La Direzione Investigativa antimafia ha depositato in Parlamento la sua relazione semestrale sulla criminalità organizzata e, a testimonianza della crescente forza e centralità della ‘ndrangheta, l’organizzazione criminale calabrese è la prima ad essere trattata nel testo.

Per la Dia «la ‘ndrangheta continua a rappresentare un’organizzazione fortemente strutturata su base territoriale, fondata sulle famiglie intese quale vincolo di parentela, e pertanto tendenzialmente refrattaria al fenomeno del pentitismo, articolata su più livelli e provvista di organismi di vertice, che puntano ad operare con processi decisionali unitari».

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Una conferma della sua struttura che consente anche di evidenziare come sia da ritenersi confermata «la ramificazione della criminalità organizzata calabrese, costantemente proiettata verso la moltiplicazione della ricchezza e l’esercizio del potere».

Da questo punto di vista si conferma la forte ritualità e il simbolismo dei processi di affiliazione che sono tuttora al centro del sistema di adesione alle ‘ndrine: «Le più recenti acquisizioni investigative – spiega la Dia – danno conto di quanto essi siano tuttora indispensabili per definire appartenenza e gerarchie interne, per rafforzare il senso di identità e dare “riconoscibilità” all’esterno, anche in contesti extraregionali e persino internazionali». 

Le indagini hanno «consentito l’aggiornamento della conoscenza di regole e rituali della ‘ndrangheta, individuando persino nuove doti, nonché, tra le altre cose, confermando l’operatività di una struttura sovraordinata con le relative cariche, istituita allo scopo di accrescere il prestigio dei 5 locali che la compongono e di migliorare l’efficienza operativa delle articolazioni locali, extra-regionali, nazionali ed estere. In tale contesto inoltre, sono state accertate le modalità di funzionamento dei “tribunali” di ‘ndrangheta e le procedure dei giudizi, in capo agli affiliati sospettati di violazioni, nonché le regole applicabili in caso di faida»

Un sistema gestionale e gerarchico che «viene sistematicamente replicato anche al di fuori del territorio d’elezione, dove le cosche cercano in vario modo di accreditarsi per accedere a quei circuiti utili a condizionare scelte politiche e amministrative, regolare rapporti con imprese, enti, banche ed istituzioni. Un’ambizione che, di fatto, ha determinato la proiezione delle ‘ndrine verso le aree più ricche del Paese ed all’estero, dove è ormai consolidata la capacità di riciclare e reimpiegare i capitali illeciti, utilizzando tecniche di occultamento sempre più sofisticate, con il traffico internazionale di stupefacenti che rimane la primaria fonte di finanziamento».

Per l’antimafia, «le consorterie stanno cercando di cogliere, con strumenti corruttivi o più esplicitamente violenti, le numerose opportunità offerte da economie dinamiche e di portata internazionale. Un vero e proprio modello d’azione che continua ad essere replicato, oltre che in Calabria, anche in altre aree nel Nord Italia ed all’estero (Germania, Svizzera, Spagna, Francia, Olanda e nell’Est Europa), nonché nei continenti americano (con particolare riferimento al Canada) ed australiano. Contesti – aggiunge la Dia – dove si sono stabilmente insediate nuove generazioni di affiliati, incardinati in locali che, seppur dotati di una certa autonomia, continuano a dar conto al comando strategico reggino».

Si tratta di «una vera e propria “colonizzazione”, nel cui ambito “…le cosche della ’ndrangheta restano l’espressione mafiosa maggiormente aggressiva e la minaccia criminale più evidente alla sicurezza nazionale”. In tale quadro e nella generale azione di contrasto l’aggressione ai patrimoni illeciti e la cattura dei latitanti restano strumenti imprescindibili, per i quali assume una valenza sempre più importante, diremmo fondamentale, la cooperazione con le polizie estere».

I CLAN DI ‘NDRANGHETA EGEMONI NELLE PROVINCE CALABRESI

Sotto il profilo dell’organizzazione delle ‘ndrine sul territorio calabrese, la Dia conferma la ripartizione provinciale con l’esclusione della provincia di Reggio Calabria ripartita nei mandamenti “Centro” o “Reggio Città”, “Tirrenico” e “Jonico”.

In particolare, nel mandamento “Centro” «si concentra la presenza delle cosche Libri, Tegano, Condello e De Stefano, allo stato interessate dalle fasi processuali dell’inchiesta Gotha che sta confermando l’operatività di una “cupola mafiosa” dalla spiccata vocazione imprenditoriale, protesa a condizionare le istituzioni».

Per quanto riguarda il Mandamento Tirrenico, «le cosche continuano ad esprimere una spiccata vocazione “imprenditoriale”, che ha determinato, con il passare del tempo, una serie di mutamenti strutturali ed organici negli storici gruppi di ‘ndrangheta dell’area, funzionali anche alla nascita di nuove alleanze. In ogni caso, specie con riferimento alla Piana di Gioia Tauro, resta pressante l’operatività delle cosche Piromalli e Molè».

Infine, nel il Mandamento Ionico «le cosche continuano ad evidenziare una spiccata propensione alla gestione dei traffici internazionali di stupefacenti, forti, da un lato, dell’affidabilità che riconoscono loro i trafficanti dei Paesi produttori, dall’altro, di una capacità di utilizzare meccanismi sempre più sofisticati per la movimentazione della droga. Allo stesso tempo, le cosche mostrano un forte interesse ad inquinare le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, quasi sempre puntando ad intessere relazioni politico-mafiose.

Per quanto concerne la provincia di Catanzaro secondo la DIa «permane la forte influenza della cosca cutrese dei Grande Aracri, mentre nel capoluogo si conferma l’operatività del clan dei Gaglianesi e degli Zingari, attivi soprattutto nei quartieri meridionali. Il locale che fa capo alla famiglia Gallace di Guardavalle, alleata con la cosca reggina Ruga-Metastasio-Leuzzi, si attesta nel basso versante jonico-soveratese. Mentre «nell’area lametina si continuano a registrare legami tra sodalizi locali e la famiglia Mancuso di Limbadi. Risultano, altresì, consolidati i rapporti tra i Cerra-Torcasio-Gualtieri, le ‘ndrine di San Luca e soggetti di origine albanese, finalizzati all’approvvigionamento di stupefacenti. L’operazione “Crisalide”, conclusa nel maggio 2017, nei confronti proprio dei Cerra-Torcasio-Gualtieri, ha portato, nel mese di novembre, allo scioglimento del Consiglio comunale di Lamezia Terme».

Nella Provincia di Vibo Valentia si mantiene l’egemonia «del locale di Limbadi e, nello specifico, della famiglia Mancuso, in solida alleanza con le cosche di Reggio Calabria e con quelle della piana di Gioia Tauro. Sopravvissuta alle numerose inchieste giudiziarie che hanno riguardato, negli ultimi anni, vertici e affiliati, la cosca continua ad esercitare un pressante controllo sul vibonese, forte di saldi vincoli familiari e di un elevato numero di affiliati. Oltre ai Mancuso, nel capoluogo si conferma la presenza della famiglia Lo Bianco». In Provincia, invece, «tra Briatico e Tropea insistono le famiglie Accorinti e La Rosa, mentre nei Comuni di Pizzo e Francavilla Angitola si segnala la presenza della famiglia Fiumara, tutte satelliti dei Mancuso. Nei comuni di Soriano, Sorianello e Gerocarne (area delle Serre) è operativo il clan Loielo in contrapposizione agli Emanuele. Gli stessi risultano alleati, rispettivamente, dei Ciconte e degli Idà. La cosca Anello-Fruci risulta attiva su Filadelfia, mentre a Serra San Bruno si conferma la famiglia Vallelonga-Viperari, che orbita tra le province di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria, sino al territorio di Guardavalle (CZ), in località Elce della Vecchia, zona di primaria influenza della famiglia Novella».

La provincia di Crotone è quella di appartenenza del clan Grande-Aracri che «continua ad esercitare la propria egemonia sull’area in esame attraverso il locale di Cutro, ponendosi come riferimento anche per le altre famiglie del posto, potendo contare, tra l’altro, sulle ormai consolidate alleanze con le cosche della provincia di Reggio Calabria, del capoluogo di regione e dell’alto jonio cosentino, si confermano, inoltre, le proiezioni anche fuori della Calabria. Nel capoluogo si registra l’operatività del clan Vrenna-Bonaventura-Corigliano, in località Cantorato è presente la cosca Tornicchio, mentre nella frazione di Papanice sono attive le cosche Megna (cd. dei Papaniciari) e Russelli».

Nella provincia di Cosenza «si conferma l’operatività delle cosche Rango-Zingari e Abbruzzese che operano in connessione con le compagini Lanzino-Patitucci e Perna-Cicero». Inoltre, «il clan Valente-Stummo (propaggine della cosca Muto, egemone nell’alta fascia tirrenica cosentina e con importanti proiezioni in Basilicata e in Campania) è attivo nella zona di Scalea, mentre nel comune di Paola si registra l’operatività delle cosche Martello-Scofano-Ditto e Serpa, tra loro contrapposte, oltre alla già menzionata cosca Rango-Zingari di Cosenza. Nell’area di Amantea insistono i Besaldo, i Gentile e gli Africano». Infine, sul versante jonico cosentino e fino a Scanzano Jonico (MT), «esercitano la propria influenza i gruppi Abbruzzese di Cassano allo Ionio ed Acri-Morfò, dediti in prevalenza al traffico di sostanze stupefacenti».

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