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Il consigliere comunale torinese vittima 6 anni fa di un agguato e morto dopo 19 mesi di agonia
ROMA – Ancora una richiesta di condanna all’ergastolo, la terza da parte della pubblica accusa, per Francesco Furchì, l’uomo accusato dell’omicidio dell’avvocato e consigliere comunale torinese Alberto Musy. A formularla, dopo quelle avanzate dai magistrati di primo e secondo grado, è stato il sostituto procuratore generale della Cassazione Pina Casella nella sua requisitoria davanti ai giudici della Prima sezione penale ai quali spetta la parola finale sul presunto responsabile di questo delitto avvenuto nell’androne di un palazzo signorile nel pieno centro di Torino, in via Barbaroux, poco dopo le otto del mattino del 21 marzo 2012. Uno sconosciuto, coperto dal casco, sparò quattro colpi di pistola contro Musy che morì dopo 19 mesi di agonia, senza aver mai ripreso conoscenza.
Secondo il Pg Casella, «le prove sono convergenti» contro Furchì e «correttamente» i giudici di merito della Corte di Assise e della Corte di Assise di Appello di Torino, che si è pronunciata nel 2015, hanno individuato il movente nel “sentimento di vendetta». L’imputato, ragioniere calabrese, con aspirazioni in politica e negli affari legati alla politica, era stato presentato a Musy per aiutarlo durante la campagna elettorale a sindaco del 2011 da un professore della facoltà di giurisprudenza dove Musy insegnava.
Le indagini della polizia durarono quasi un anno: a stringere la rete attorno a Furchì fu proprio il docente che lo aveva presentato a Musy, Pier Giuseppe Monateri: mentre era intercettato dalla questura parlando con una amica disse di aver riconosciuto le sembianze dell’imputato sotto il casco dell’uomo che camminava in via Barbaroux. Dai riscontri, Furchì risultò effettivamente presente in quella zona mentre avveniva l’agguato e venne fermato dalla polizia al termine del primo interrogatorio il 30 gennaio 2013. A spingerlo ad uccidere sarebbero stati rancori legati al fatto che essendo andate male le amministrative del 2011, Musy non gli aveva potuto affidare alcun incarico mentre Furchì si aspettava di ricevere qualcosa. Avrebbe anche voluto che Musy favorisse il figlio di un amico a un concorso universitario e che aiutasse lui a trovare dei soci per rilevare una società di trasporti ferroviari fallita, un progetto non andato a buon fine.
Il grosso dei riscontri a carico del ragioniere calabrese è venuto dalle telecamere e dall’esame delle celle telefoniche, mentre il casco, l’impermeabile e l’arma del delitto non sono mai stati trovati. Furchì ha sempre sostenuto di essere innocente, ma ha anche fornito un alibi falso, come ha ricordato il Pg Casella chiedendo il rigetto del suo ricorso.
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