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GIUNGE puntuale, nel giorno in cui la procura di Reggio Calabria lancia un forte segnale nella lotta alla ‘ndrangheta ed evidenzia il rapporto esistente tra la criminalità organizzata calabrese e la mafia siciliana nell’operazione “‘Ndrangheta stragista” (SCOPRI I CONTENUTI SULL’OPERAZIONE ‘NDRANGHETA STRAGISTA NEL FASCICOLO AD AGGIORNAMENTO DINAMICO), il nuovo rapporto semestrale della Direzione investigativa antimafia sul fenomeno delle mafie.
Un quadro aggiornato in cui viene analizzato in profondità un fenomeno devastante che ormai non ha confini territoriali alla luce delle numerose indagini aperte e volte a ridurre progressivmente fino a cancellarla l’operatività della criminalità organizzata.
Alla Calabria e alla ‘ndrangheta calabrese la Dia riserva un ricco capitolo di oltre una cinquantina di pagine, corredato anche dalle nuove mappe territoriali delle ‘ndrine (GUARDA LE MAPPE), nel quale si evidenzia la forza notevole della ‘ndrangheta in Calabria e fuori dalla Calabria.
La Dia esordisce immediatamente precisando che, come accade da alcuni anni, la ‘ndrangheta appare «evidentemente orientata verso un consolidamento della struttura associativa», e se da un lato con la sentenza Crimine (LEGGI) «ha sancito la portata verticistica del fenomeno ‘ndranghetista, sottolineandone l’unitarietà sia sotto il profilo organizzativo che sul piano propriamente decisionale dall’altro l’operazione “Mamma Santissima” (SCOPRI I CONTENUTI), condotta il successivo mese di luglio dall’Arma dei Carabinieri, ha fatto luce su una struttura direttiva “segreta” dell’organizzazione».
In sostanza, la ‘ndrangheta si conferma «un’organizzazione chiaramente di tipo mafioso, segreta, fortemente strutturata su base territoriale, articolata su più livelli, provvista di organismi di vertice e allo stesso tempo ramificata nella società calabrese e non solo». Ma per l’antimafia la ‘ndrangheta è «un fenomeno complesso strettamente correlato alla corruzione. E proprio nel corso del semestre, sono diverse le inchieste che confermano quest’analisi». La criminalità organizzata calabrese è «un’organizzazione mafiosa versatile, opportunista, affarista, oggi proiettata all’accumulazione rapida della ricchezza con operatività diversificate, che, conscia di poter manovrare ingenti capitali ed influenzare le scelte amministrative ha molto attenuato, soprattutto fuori dai territori d’elezione, le tradizionali manifestazioni violente di potere per acquisire il predominio militare del territorio. Si assiste, così, ad una strategia di azione basata, specie fuori regione e all’estero, essenzialmente sul “coinvolgimento”, nella sua accezione più deleteria. Non sono mancate, infatti, conferme circa forme di collaborazione affaristico-criminale tra le cosche, i clan camorristici e le famiglie di cosa nostra».
LA STRUTTURA TERRITORIALE DELLA ‘NDRANGHETA
Per quanto riguarda la dislocazione territoriale delle cosche di ‘ndrangheta, la Dia fa una ripartizione su base provinciale con l’unica eccezione della provincia di Reggio Calabria che risulta essere ripartita al suo interno in tre macro aree: Reggio Calabria Città (Mandamento Centro), Area Tirrenica (Mandamento tirrenico) e Area Jonica (Mandamento Jonico). Andando nel dettaglio un approfondimento lo merita il porto di Gioia Tauro che «continua ad affermarsi tra le rotte preferite dai trafficanti internazionali di stupefacenti. Sul piano degli assetti criminali dell’area, a Gioia Tauro permane, in posizione di rilievo, la cosca Piromalli, che unitamente ad altre storiche famiglie sarebbe parte integrante del vertice strategico della ‘ndrangheta».
Per quanto concerne la provincia di Catanzaro «permane l’influenza del clan Grande Aracri, di cui sono noti gli interessi protesi alla realizzazione di una “struttura” in cui far confluire tutte le ‘ndrine dei territori limitrofi a quelli di Cutro, oltre a quelli operanti nel capoluogo di regione».
La provincia di Vibo Valentia resta un «territorio storicamente piagato dalla cosca Mancuso, nell’ultimo decennio ha registrato vuoti di potere (dovuti a lotte intestine al clan), enfatizzati dalla guerra di mafia scoppiata tra cosche da sempre considerate satelliti, quali il gruppo Patania di Stefanaconi (appoggiata dai Mancuso) e il sodalizio dei “piscopisani”, facenti capo alla famiglia Fiorillo.Ciononostante la famiglia Mancuso continua a palesarsi come una complessa galassia criminale capace di operare ben oltre i confini regionali e nazionali, in specie nel settore del traffico di stupefacenti, ma anche e soprattutto in grado di penetrare e controllare gangli della Pubblica Amministrazione, finanche in Lombardia».
A Crotone «sul piano generale non si individuano sostanziali mutamenti rispetto a quanto tracciato nei semestri precedenti87 con i clan storici quali i Vrenna-Bonaventura-Corigliano, gli Arena, i Megna ad esempio costantemente attivi.
A Cosenza e nei comuni limitrofi «permane l’aggregato denominato Rango-Zingari, sorto dalla fusione tra i superstiti della scomparsa cosca Bruni e il clan degli zingari, capeggiato da elementi della famiglia Rango», mentre in provincia, tra le altre, particolarmente attiva c’è «la cosca Muto, egemone nell’alta fascia tirrenica cosentina, con importanti propaggini dalla Basilicata alla Campania».
L’ATTIVITÀ DELLA ‘NDRANGHETA FUORI DAI CONFINI REGIONALI
La ‘ndrangheta conferma ancora la sua capacità di estendere la propria attività e influenza fuori dai confini regionali, e così ad esempio, spicca il Piemonte «sede di numerose articolazioni di ‘ndrangheta, il Piemonte rappresenta una qualificata espressione del radicamento fuori regione delle ‘ndrine reggine e del vibonese».
Anche la Liguria non si sottrae all’influenza criminale delle ‘ndrine tanto che «la regione annovera la presenza della struttura denominata “Liguria”, intesa come macro area criminale di ‘ndrangheta che ha esteso le sue propaggini anche nel basso Piemonte. In Liguria sarebbero state costituite almeno 4 locali, a Ventimiglia, Genova, Lavagna e Sarzana, espressione dei tre mandamenti reggini».
Strategica per la ‘ndrangheta, poi, è la Lombardia «la cui importanza ha fatto sì che la ‘ndrangheta vi insediasse una struttura di riferimento regionale, appunto denominata “la Lombardia”, intesa come “Camera di controllo”, ossia un organismo di coordinamento e di comunicazione con la “casa madre” reggina, rappresentata dal “Crimine di Polsi” e centrale di comando sovraordinata alle locali presenti in zona. Gli interessi delle cosche sul territorio si sono stratificati nel tempo, rivolgendosi all’edilizia, alla ristorazione e alla gestione di locali notturni, attività, tra le altre, che, unitamente al traffico di stupefacenti, hanno permesso alla ‘ndrangheta di consolidare l’azione di infiltrazione ed il processo di radicamento nel tessuto sociale, istituzionale ed economico, spesso attraverso la compiacenza, il sostegno reciproco e, non ultimo, l’assoggettamento di soggetti appartenenti alle istituzioni e al mondo imprenditoriale».
Fortemente pervasiva, la presenza in Emilia Romagna con segnali di attività di numerose cosche reggine, vibonesi, catanzare e crotonesi.
L’Abruzzo e il Molise hanno, invece, evidenziato un maggior radicamento tanto che la Dia ha evidenziato come i segnali evidenziati in passato «sono diventati importanti tessere del mosaico espansionistico della ‘ndrangheta verso regioni solo all’apparenza meno “appetibili”».
Il Lazio «si conferma un territorio strategico anche per le cosche di ‘ndrangheta che, mantenendo legami storici con le consorterie mafiose del territorio d’origine, rappresentano una sorta di “testa di ponte” per una molteplicità di interessi illeciti, seguendo metodologie criminali improntate alla minore visibilità, specie se correlate al reimpiego di capitali illeciti».
Non sono mancati segnali della presenza della ‘ndrangheta in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana e Umbria pur senza esserci delle locali attive, e presenze più intense in Sardegna dove opera la “Locale di Laureana di Borrello”.
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