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ANTONIO ALTERIO
Dalla lettura del voluminoso carteggio relativo a mons. Giocchino Pedicini, conservato nell’archivio diocesano di Ariano Irpino, si ricavano molte ed interessanti notizie per capire come nacque il partito della Democrazia Cristiana e quali furono le sue iniziative durante le prime battaglie elettorali sul tricolle subito dopo la caduta del fascismo. La preoccupazione dell’avanzata dei comunisti e comunque dei partiti di sinistra aveva indotto più volte, nell’immediato dopoguerra, il Papa ad intervenire per sollecitare il mondo cattolico ad essere vigile perché ciò non accadesse. Ed allora apparve giusto e necessario alla Curia vescovile, al tempo del vescovo Pedicini, rifiutare l’invito della sezione del Partito Comunista di Ariano Irpino a partecipare ad una conferenza indetta per il 23 settembre 1945 nel cinema Comunale. Il prof. Ennio Villone avrebbe dovuto parlare sul tema “Comunismo e coscienza cattolica”, ma la Curia diocesana e per essa il Vicario Generale, certamente su indicazioni del vescovo Pedicini, in una sua nota di risposta giustificò la mancata partecipazione, precisando che ad avere “già autorevolmente e chiaramente sentenziato” sui limiti dei rapporti “tra Comunismo e coscienza cattolica” erano stati “il Papa ed i Vescovi”.
Nel documento si legge ancora “I comunisti di Ariano potevano essere in buona fede, ma dopo la notificazione degli Ecc.mi Vescovi della Regione Beneventana non lo sono più. Essi ormai sanno molto bene che Comunismo e Cattolicesimo partono da due concezioni filosofiche, le quali sono in irriducibile contrasto tra loro. Il Comunismo si fonda sull’ateismo e sul materialismo, mentre la nostra santa Religione ha per base la credenza in Dio, la spiritualità dell’anima e l’esistenza della vita futura. Perciò essi debbono scegliere tra Religione cristiana in cui sono nati e dicono di volere vivere e il credo comunista”.
Concetti questi espressi dal domenicano arianese padre Oppido “con parola limpida e dotta” in una sua conferenza tenuta ad Ariano la sera del 12 settembre precedente.
Il Vicario chiuse la sua lettera scrivendo “Finisco augurando che il Comunismo e il suo fratello, il Socialismo, si decidano a rinunziare all’ateismo e al materialismo per voler solamente il miglioramento delle classi più umili e per una migliore giustizia sociale. Allora la Chiesa ed il Clero, alto e baso, non avranno per essi che approvazioni e le più ampie lodi”.
Era la piena chiusura ad un possibile dialogo, anche se i due temi comunque diventavano argomenti di conferenze separate, perché sia l’uno che l’altro schieramento promuoveva incontri per chiarire e sostenere le proprie ideologie.
Ecco il motivo per cui, prima delle tornate elettorali della seconda metà degli anni ’40 del secolo scorso (1946 e 1948), il vescovo di Ariano mons. Pedicini inviava ai parroci un suo foglio per invitarli a suggerire ai parrocchiani “una norma chiara e precisa circa la condotta che debbono tenere nelle prossime elezioni”. Partiva dal presupposto che la religione era “magistero di vita” e “quindi il clero e tutti i veri cattolici” non potevano “disinteressarsi dalla politica quando questa tocca la morale e la religione”, come ad esempio: le questioni riguardanti il matrimonio, la famiglia, l’educazione, la scuola, il pubblico costume, il diritto di proprietà, l’associazionismo ed i rapporti tra Stato e Chiesa. Questi problemi non potevano essere trascurati, di qui, secondo Pedicini, per il cattolico “di qualsiasi condizione, sesso ed età” l’obbligo di fare uso del diritto di voto, commettendo un grave peccato in caso di astensione “senza una grave ragione”. E poi il citato prelato, a completamento del suo ragionamento, aggiungeva “I cattolici possono dare il loro voto soltanto a quei candidati e a quella lista di candidati per i quali si ha la certezza che rispetteranno e difenderanno l’osservanza della legge divina e i diritti della Religione e della Chiesa nella vita privata e in quella pubblica”.
Era un implicito, ma chiaro invito a votare per la D.C. Alla stessa maniera Pedicini si rivolgeva “Al venerabile Clero della Città e Diocesi” con una sua lettera circolare il 26 novembre 1945, in cui richiamava all’attenzione di tutti che in un futuro prossimo il popolo avrebbe scelto “i suoi reggitori” e che attraverso la Costituente avrebbe stabilito “Quale dev’essere la forma dello Stato e su quali nuove leggi dev’essere fondato”. Per questo diventava importante il voto, perché da esso dipendeva “l’avvenire dell’intera nazione non per un breve tempo, ma forse per decenni”, come precisò. Pedicini riteneva che il voto doveva essere “dato con cognizione di causa e con coscienza”, altrimenti sarebbe diventato “come un’arma, che maneggiata da persona non pratica, può produrre danni gravissimi”. Come primo intervento il vescovo invitava tutti i parroci a convincere i cittadini ad andare a votare, essendo il voto non solo un diritto, ma soprattutto un dovere legale e di coscienza. L’azione di convincimento andava fatta anche verso le donne, che per la prima volta venivano chiamate alle urne. Successivamente Pedicini poneva “la grave questione: a chi dare il proprio voto”, che risolveva con questa risposta “non bisogna fare altro che interrogare la propria coscienza”. Ed allora il suffragio poteva essere dato “a chi lo merita e non per le sue qualità personali, ma per la bontà del programma che egli segue”. Di qui l’impossibilità di votare “quelli che sono contro la Religione, anche se a parole dicono di rispettarla”, né potevano essere sostenuti coloro che professavano “l’ateismo” o negavano “l’anima facendo dell’uomo una bestia un po’ più perfezionata”. Tanto meno poteva essere dato il voto “a quelli che vogliono introdurre il divorzio in Italia per distruggere la compagine familiare, come non si dovrà dare a quelli che sono contro l’insegnamento religioso nelle scuole”.
Pedicini a conclusione esortava i confratelli parroci a ribadire questi concetti in prossimità delle elezioni, insegnando anche il modo di votare “affinché le persone più semplici ed ignoranti non siano ingannate e indotte a dare il loro voto a chi non vogliono”. Com’era prevedibile i partiti laici si ribellarono e non mancarono di adottare le contromisure adatte a bilanciare quella che ritenevano un’ingerenza della Chiesa e della gerarchia ecclesiastica negli affari dello Stato. Di qui la necessità del clero cittadino di emettere il seguente “Ordine del Giorno” il 28 febbraio del 1946. “S.E. Mons. Vescovo di Ariano Irpino e i sacerdoti tutti della Diocesi riuniti in assemblea esprimono la loro meraviglia per le sanzioni proposte contro il clero che svolge attività elettorale sancite dalla Consulta nella seduta del 22 febbraio, u.s.; elevano la loro viva protesta per questa menomazione della missione, che il Clero ha, di essere maestro dei fedeli anche nelle questioni politiche, quando queste toccano l’altare, cioè la religione e la morale; affermano la loro decisa volontà di non tenere alcun conto delle penalità stabilite dall’art. 66 della legge elettorale testè approvata dalla Consulta e di continuare nella linea di condotta finora seguita, che consiste nell’illuminare gli elettori, affinché diano il loro voto a quei partiti e persone che danno serio affidamento del popolo italiano”. Di qui anche la nascita di organizzazioni, come i Comitati Civici, ed il potenziamento dell’Azione Cattolica, a fare da baluardo all’avanzata del marxismo e dei partiti propugnatori dei suoi principi politici.

Le prime battaglie
politiche

Le prime prove elettorali (nel 1946) comprendevano il referendum per la scelta tra la Repubblica e la Monarchia, l’elezione dei parlamentari alla Costituente, nonché l’elezione dei sindaci ed i consiglieri comunali. Ma dopo due anni circa c’era un’altra importante tornata elettorale, questa volta per eleggere i componenti delle due Camere, Deputati e Senatori, dalle quali fare scaturire il Governo della Repubblica Italiana.
In vista di questi decisivi impegni elettorali il Vescovo Giovanni Urbani, Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana, da Roma fece pervenire a PediCIni una sua lettera, datata 21 gennaio 1948. Il prelato preannunciava l’arrivo di “tre carrozzoni, muniti di apparecchio cinematografico, destinati, per espresso desiderio del S. Padre, a visitare i paesi non accessibili del Mezzogiorno”. Lo scopo dell’iniziativa era educativo e didattico per ottenere “il più benefico effetto e la più vasta risonanza anche in vista della grave battaglia che i cattolici saranno chiamati prossimamente a sostenere e che deve essere assolutamente vinta”.
Il 15 febbraio 1948 si costituì “nella sede della Curia Vescovile” di Ariano “il Comitato Civico Diocesano”, come risulta da una copia del verbale firmata dal Dirigente del Comitato Civico Diocesano prof. Attilio Casullo. Ne facevano parte i seguenti componenti “1) Prof. Andrea Esposito; 2) Prof. Attilio Casullo; 3) Prof. Gabriele Ciasullo; 4) Sig. Cesira Mazza; 5) Avv. Antonio Maresca; 6) Mons. Luciano Zevola; 7) Rev. D. Guido Casullo; 8) Rev. D. Angelo Rizzo”. Nel verbale venne riportato “I sunnominati, dopo aver presa visione dello statuto di detto Comitato, persuasi delle necessità che urgono nell’ora attuale, s’impegnano ad attuare con ogni mezzo le direttive del Comitato Civico Nazionale per il bene della Società e per il trionfo della Civiltà Cristiana”. I predetti si misero subito all’opera tanto che, a distanza di un mese circa, il Delegato Tecnico Attilio Casullo inviava il 19 marzo 1948 ai responsabili Diocesani e parrocchiali un lettera di ringraziamento “per l’opera svolta in occasione dell’apertura della campagna elettorale della D.C. in Ariano e per la collaborazione data durante i discorsi”. Dopo avere espresso la sua gratitudine, Casullo invitò tutti non solo a continuare nella collaborazione, ma a renderla “più forte ed aderente allo scopo”, comunicando che l’indomani alle ore 19 in piazza Plebiscito avrebbe tenuto un discorso “S.E. l’ON. PROF. SALVATORE SCOCA, deputato alla Costituente e Avvocato Generale dello Stato”.
Sollecitava tutti “ad avvertire i soci di Azione Cattolica, i simpatizzanti, le opere collaterali come l’Apostolato della Preghiera, i Terziari Francescani, le figlie di Maria ecc.”, perché intervenissero al comizio e prendessero parte “entusiasmando il pubblico”. Insomma dovevano funzionare da claque, quasi fossero a teatro, non solo per dare la sensazione del forte seguito e consenso, ma anche per emulare e superare gli affollati comizi tenuti da Enea Franza.
Con l’approssimarsi del 18 aprile, giorno fissato per le elezioni politiche, Gabriele Ciasullo in nome e per conto del Comitato Civico Diocesano inviò il 5 aprile 1948 una lettera “Al Comitato Civico Nazionale-Roma”. In essa faceva richiesta “di un oratore laico” che avesse tenuto un comizio ad Ariano il giorno 11 aprile, facendo la seguente ammissione “La situazione di Ariano è instabile. Sono venuti a parlare oratori comunisti di calibro come Cacciatore (ex sottosegretario) Gullo ex ministro ecc., ecc.”. Ciasullo lamentò il fatto che “Alla direzione centrale della Democrazia Cristiana avevano promesso di mandare un ministro D.C. data l’importanza strategica di Ariano”, ma fino a quel momento non si era “visto alcun pezzo grosso, malgrado le richieste fatte”. Evidenziò che Ariano si trovava “al centro di un circondario vasto ed importante”, che in essa “ben SEI candidati del Fronte, del Blocco e della Democrazia Cristiana” si erano candidati. Erano queste delle buone ragioni per inviare “un oratore..all’altezza della situazione”.
Il richiedente, rinnovando la richiesta “Nei limiti delle possibilità e stante la promessa della Direzione Centrale della D.C. (On. Taviani promise il 19 gennaio a Ciasullo di mandare ad Ariano un Ministro)”, chiuse con l’augurio di una risposta positiva.

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