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MILANO – Lo scorso ottobre il giudice per l’udienza preliminare di Milano aveva proceduto alla condanna del boss di ‘ndrangheta Rocco Papalia per l’omicidio di Giuseppe De Rosa (LEGGI LA NOTIZIA) avvenuto la sera del 9 ottobre 1976, davanti al locale Skylab, ma, al di là della colpevolezza dell’esponente della criminalità organizzata calabrese, restava da chiarire il quadro complessivo che fu all’origine dell’omicidio risolto dopo trent’anni (LEGGI LA NOTIZIA) e a portare definitiva luce sono giunte adesso le motivazioni della condanna.

Per il gup Alessandra Simion a portare Papalia ad uccidere De Rosa fu la «necessità di riaffermare il prestigio criminale a Buccinasco del clan dei Papalia, noto come il gruppo dei calabresi, e di annientare i rivali del gruppo dei nomadi», motivazione a cui si aggiunse anche «uno sgarro legato a una donna», costituiscono il movente dell’assassinio.

Papalia oggi si trova in cella a Secondigliano (Napoli) in regime di 41 bis per altre vicende di mafia. 

L’omicidio di De Rosa fu uno dei primi commessi nel milanese per affermare il predominio della famiglia Papalia e ha trovato soluzione grazie all’operato del pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia Paolo Storari dopo che nel 1978 il giudice istruttore aveva disposto l’archiviazione nei confronti dello stesso Papalia.

La svolta che ha consentito il nuovo processo e la condanna si è avuta grazie ad una intercettazione acquisita nell’ambito di una delle indagini della Direzione Distrettuale Antimafia milanese guidata da Ilda Boccassini. Nella registrazione datata 22 aprile 2012 due uomini di Papalia Agostino Catanzariti e Michele Grillo (entrambi arrestati), durante una conversazione in macchina hanno rievocato la vicenda attribuendo al loro capo «la responsabilità dell’omicidio».

Un punto di partenza che ha dato vitaad un percorso investigativo con ulteriori intercettazioni dello stesso periodo tra la moglie e la figlia di Emanuele Di Stefano nella quale la prima confida alla seconda che lei e il padre assistettero al fatto di sangue e che entrambi furono costretti a ritrattare. «Ciò a conferma delle forti intimidazioni – scrive il gup  Simion – che ricevette Di Stefano» quando a poche ore dall’omicidio, durante una «individuazione fotografica», indicò Rocco Papalia come colui che sparò a Di Rosa.

Per il gup Simion sono tratti identificativi di Papalia la «particolare efferatezza» dimostrata nell’uccidere, oltre ovviamente alla «spiccata pericolosità sociale», al suo «inserimento negli ambienti della criminalità organizzata» e alla sua «carriera criminale avviata almeno dal 1973». Papalia, alias ‘Nginu’, quarant’anni fa, «non aveva tollerato – afferma il gup – che il gruppo dei nomadi si fosse contrapposto al clan dei calabresi».

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