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REGGIO CALABRIA – Cinque persone sono state sottoposte a fermo di polizia giudiziaria in quanto indiziati di delitto nell’ambito di un’operazione della Polizia di Stato e del’Arma dei Carabinieri, denominata ‘”Il Principe”, nei confronti della cosca De Stefano di Reggio Calabria.
I provvedimenti sono stati emessi dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che ritiene i cinque responsabili di associazione per delinquere di stampo mafioso e di vari reati contro il patrimonio tra cui una estorsione ad una ditta, l’impresa Co.Bar., impegnata nella ristrutturazione del Museo nazionale di Reggio Calabria.
I FERMATI – Le cinque persone fermate sono Giovanni Maria De Stefano detto il “Principe” (parente di Giuseppe De Stefano) 39 anni, Fabio Salvatore Arecchi (38 anni), Arturo Assumma (30 anni), Vincenzo Morabito (47 anni) e Francesco Votano (27 anni).
LE INDAGINI – In particolare, le indagini hanno riguardato sia Giovanni Maria De Stefano, in libertà dal 2009, che esercitava il governo territoriale della cosca, sia le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Enrico De Rosa che hanno fatto luce sulle attività estorsive ai danni della Co.Bar spa.
Secondo quanto evidenziato dagli inquirenti De Stefano svolgeva il ruolo di capo della cosca e promotore con compiti di direzione, decisione, pianificazione e individuazione delle azioni e delle strategie criminali. E in questo contesto gli esponenti della cosca, in tempi diversi ed esercitando minacce e intimidazioni, avrebbero costretto Vito Matteo Barozzi e la sua società Co.Bar, di cui lo stesso Barozzi detiene il 95% ed è amministratore, a corrispondere ingenti somme di denaro.
Il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, ha rimarcato come «l’inchiesta conferma il ruolo preminente dei De Stefano che riescono a farsi consegnare dalla Co.Bar, in poco meno di due anni, somme per 180 mila euro, senza che il fatto fosse denunciato, imponendo l’assunzione di loro operai di fiducia e le forniture di parti di manufatti, e persino di capannoni ove temporaneamente depositare i reperti archeologici in attesa di essere ricollocati nella sede. La sinergia tra forze di polizia che hanno saputo sapientemente organizzarsi ha consentito di suffragare le testimonianze del collaboratore di giustizia Enrico De Rose, giovane immobiliarista fagocitato dal sistema De Stefano ed il contenuto di numerose intercettazioni ambientali e telefoniche».
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