X
<
>

Share
2 minuti per la lettura

PETILIA POLICASTRO (KR) – Minaccia di togliersi la vita seguendo l’esempio del padre, il pentito Carmine Venturino, il 35enne che, dopo la condanna all’egastolo inflittagli in primo grado per l’omicidio di Lea Garofalo, decise di collaborare con la giustizia facendo ritrovare i resti della testimone di giustizia di Petilia Policastro, attirata in una trappola a Milano, uccisa, bruciata e sepolta in un garage all’aperto vicino Monza.

A renderlo noto è il suo avvocato, Claudia Conidi, che ha scritto al procuratore distrettuale antimafia aggiunto di Catanzaro, Vincenzo Luberto, al suo sostituto Domenico Guarascio, che ha competenza sul Crotonese, al Servizio centrale di protezione. L’avvocato trova «inquietante» il riferimento al padre del pentito, Giuseppe, morto suicida nel giugno 2014 il giorno dopo aver visto una trasmissione televisiva sul caso di Lea nel corso della quale furono mandati in onda passaggi della testimonianza del figlio.

La richiesta dell’avvocato è che «vengano adottate misure tutorie adeguate in seguito al contributo processuale reso da Venturino». E’ «inaccettabile e assurdo», sempre secondo l’avvocato, che «chi si espone contro la criminalità organizzata venga trattenuto in una struttura in cui ci sono detenuti comuni o di cui non si conosce lo status». Il punto è che, finché Venturino e i suoi familiari, anche loro a rischio, non saranno inseriti nel programma di protezione, possono divenire «oggetto di vendette trasversali».

Del resto, «in altri casi – prosegue il legale – a pentiti di mafia che hanno consentito di rinvenire cadaveri sono stati concessi, ovviamente dopo l’espiazione della pena, i benefici della detenzione domiciliare e quindi di documenti di copertura in una località protetta». Il giovane che bruciò in un posacenere il pezzo di cordino con cui Lea fu strangolata, e che prelevò il cadavere nell’appartamento milanese di via Fioravanti in uno scatolone per poi portarlo nel magazzino dove iniziò la distruzione in mille frammenti ossei bruciati e gettati in un tombino, è stato condannato in via definitiva a 25 anni nel dicembre scorso.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE