4 minuti per la lettura
Ad un certo punto del pomeriggio fa capolino anche un timido sole. Per poco. Riappaiono subito le nuvole, minacciose, ma niente in confronto a ieri e ad avantieri. Non piove più sulla Locride martoriata, ed è già questa una buona notizia dopo tre giorni di diluvio universale. Bianco è raggiungibile con grande difficoltà con mezzi propri. Poi verso Reggio è una fortuna avventurarsi. Imbucandosi su qualche camionetta, con il favore di qualche amico, si sbircia verso sud, verso la tragedia di Bruzzano Zeffirio, Caraffa del Bianco, Sant’Agata del Bianco, Brancaleone, Ferruzzano.
Le foto ed i filmati che finalmente stanno girando da ieri mattina (con notevole ritardo peraltro) su giornali nazionali, siti, tv, grazie a Fb, Twitter e Instagram non rendono nemmeno bene le devastazioni visibili ad occhio nudo su un territorio che era già fragile e che solo dall’alto forse sono percepibili nella loro interezza. Sugli elicotteri ci salgono le autorità, mentre qui a terra si spala, si rimuove, si tenta di rimettere in piedi un intero comprensorio che da Ardore scivola verso Melito Porto Salvo.
Non c’è più strada, non c’è più ferrovia, le tremebonde fiumare secche e asciutte dell’ estate sono diventate tutti piccoli Po – dall’Ancinale in giù – in furia con il mondo. Il meraviglioso Jonio in ebollizione accoglie le loro acque e tutto diventa una fanghiglia fino a 100 metri dalla battigia. Spettacoli che i più giovani non ricordano, non hanno mai visto. I più vecchi di Bruzzano (pochi) ancora ce l’hanno invece impressa nella mente l’alluvione dell’ottobre del 1951. Ed ora tutto sommato, dicono, è andata pure bene. ll bilancio conclusivo in tutta la Calabria sarà allora di oltre 70 vittime, 4.500 senzatetto, quasi 1.700 abitazioni crollate o rese inabitabili, 67 comuni colpiti, 26 ponti crollati e 77 acquedotti lesionati. Per la sola provincia di Reggio Calabria i danni ammonteranno a 30 miliardi. Ed in effetti a girare oggi tra quel che resta di questi paesi non si capisce come sia stato possibile che stavolta non si contano vittime ma solo danni. I più giovanotti mi parlano invece di quell’altra alluvione dei primi giorni degli anni ’70. Tra la fine del Dicembre 1972 e gli inizi di Gennaio del 1973 caddero 1500 millimetri di pioggia, un valore che eguagliò il valore medio annuo rilevato nella zona. Vennero sgomberati i centri di Careri e Bovalino, tutto l’entroterra sconvolto con l’evacuazione di San Luca e di Fabrizia. Tra Sicilia e Calabria le vittime registrate furono una ventina, 50 mila i senzatetto, le case inagibili o sventrate oltre 17 mila, i danni stimati in 900 miliardi.
L’abitudine dunque c’era. Scriveva il grande geografo Lucio Gambi nel 1965: “Le continue inondazioni che distruggono le opere di irrigazione, le vie di comunicazione e le colture di pregio, così come le frane che sconvolgono gli abitati e costringono le popolazioni a mutare di sede, sono da 5 o 6 secoli per la Calabria una pervicace maledizione”.
Corrado Stajano nel suo indimendicato “Africo” ricorda come nell’ottobre del 1951 cominciò a piovere il 15 del mese e “andò avanti per giorni e giorni, c’è anche chi dice per qualche settimana”. Ma stavolta la furia delle precipitazioni prima e delle ondate di piena delle fiumare ha avuto vita più facile e non ha precedenti.
“La costa Jonica – dice Antonio Calabrò, ferroviere ma anche scrittore e fine intellettuale reggino – era funzionale alla ferrovia. E viceversa. Le tanto vituperate arterie che risalgono la Calabria, quella ferrata e quella d’asfalto, erano l’ossatura, per quanto fragile, di tutto il processo storico ed economico della locride. Una larga fetta di cittadinanza calabrese si appoggiava ad esse e costruiva futuro proprio in virtù della loro esistenza. Ora tutto è stato travolto, con la furia di un Dio arrabbiato”.
Al calare della sera tutto sembra più spettrale. Risalendo la statale 106 solo a Caulonia Marina c’èun’altra interruzione: un ponte crollato e una deviazione di 15 chilometri. Poi si imbocca la Jonio-Tirreno verso Rosarno ma nella Piana c’è all’ improvviso il sole pieno al tramonto, gli agrumeti brillano di un verde potente. Non distante da qui, a Taurianova, c’è stata la prima delle due vittime di queste giornate, ma la Locride chissà per quanto tempo dovrà piangere.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA