3 minuti per la lettura
MELITO PORTO SALVO (RC) – La pistola da cui è partito il colpo era d’ordinanza e apparteneva al padre poliziotto. Il proiettile non era, però, di quelli in uso alle forze dell’ordine. E’ uno dei misteri emersi a seguito dell’indagine dei carabinieri sul delitto dell’infermiera Patrizia Crivellaro, 44 anni, avvenuto il 25 maggio scorso in un’abitazione di contrada Annà (LEGGI LA NOTIZIA).
Ad ucciderla da distanza ravvicinata, mentre all’alba dormiva nel suo letto, sarebbe stata la figlia diciassettenne della donna. Il motivo? Le aveva vietato di utilizzare pc e telefono per “castigarla” per il suo andamento a scuola. Una punizione che la manteneva lontana dalla vita “virtuale” dei social.
E, secondo la ricostruzione investigativa, ha perso la testa, ha afferrato la pistola d’ordinanza del padre, un poliziotto della Polfer di Reggio Calabria, che aveva lasciato l’arma a casa, e ha fatto fuoco una sola volta. Ha colpito la mamma alle spalle, come fanno i traditori.
La pistola era riposta in un marsupio all’interno di una scarpiera. Probabilmente la ragazzina sapeva dove il padre aveva riposto l’arma. E ha approfittato della sua assenza per entrare in azione, togliendo la vita a chi gliela aveva donata; per i carabinieri non ci sono dubbi: a sparare è stata la ragazzina. Gli accertamenti tecnici compiuti dagli uomini del Ris di Messina sull’arma hanno stabilito che la ragazza non aveva raccontato la verità in considerazione del fatto che aveva sempre negato, in modo categorico, di aver mai toccato la pistola. Anzi. Aveva riferito che in casa aveva fatto irruzione un uomo di alta statura che dopo aver fatto fuoco era scappato via. Sulla pistola, però, sono state trovate tre impronte parziali, una delle quali è risultata appartenere al dito indice della giovane.
IL SILENZIO DELLA GIOVANE DAVANTI AL GIUDICE
Già i risultati dello Stub, fatti sulla ragazza poco dopo il ritrovamento del cadavere di Patrizia Crivellaro, avevano fatto emergere evidenti tracce secondo le quali a sparare sarebbe stata la figlia. Prima di chiedere aiuto la giovane ha impiegato circa un’ora. Poi ha deciso di rivolgersi a uno zio poliziotto che abitava nei pressi dell’abitazione. Soltanto da quel momento sono arrivati i carabinieri che hanno avviato immediatamente l’attività investigativa. Ciò che in apparenza poteva essere un suicidio o un tentativo di rapina in casa si è rivelata una tragedia in ambito familiare. Resta il mistero dell’arma caricata con munizioni non in uso alla polizia di Stato.
Al momento il padre della ragazza non è indagato dalla Procura. E’ una tragedia familiare che ha sconvolto la vita di un padre che si è ritrovato senza una moglie e con una figlia in galera con l’accusa di omicidio. Per la Procura di Reggio Calabria la studentessa ha agito con lucida freddezza e con premeditazione. Gli investigatori hanno scavato a fondo nella vita della ragazza. In passato la giovane aveva contattato telefonicamente un centro antiviolenza riferendo di atteggiamenti violenti da parte del padre nei confronti suoi e della madre. La giovane aveva inventato tutto, la circostanza riferita era falsa, come hanno stabilito gli investigatori nel corso degli accertamenti.
Intanto ieri la diciassettenne, assistita dall’avvocato Domenica Tripodi, si è avvalsa della facoltà di non rispondere davanti al gip del tribunale dei minorenni di Reggio Calabria.
Una scelta, ha spiegato il legale all’Ansa, motivata dalla «volontà di mantenere la ragazza tranquilla e serena per quando andremo a chiarire la situazione e a dimostrare l’estraneità dai fatti». L’avvocato si è anche lamentata del fatto che su organi di stampa «è stata data un’immagine della giovane che non è quella reale. «Non è il mostro che si dipinge» ha concluso.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA