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REGGIO CALABRIA – Si sono svolti questa mattina all’alba a Benestare, in provincia di Reggio Caklabria, i funerali del boss Antonio Nirta. La Questura ha infatti vietato i funerali pubblici. L’uomo era deceduto all’età di 96 anni nella sua abitazione di contrada Ricciolio, nel comune di Benestare, ed è considerato uno dei boss che ha fatto la storia della ‘ndrangheta.
Antonio Nirta, alias “due nasi”, è un pezzo da novanta. Risale al 1935 l’esordio giudiziario per detenzione di armi e incassa la prima condanna per associazione a delinquere nel 1970. I giudici lo condannano a due anni e sette mesi. Era stato sorpreso, il 29 ottobre del 1969, alla riunione di ‘ndrangheta che quell’anno si tenne a Moltalto, anziché a Polsi. Nel 2004 è ufficialmente un caposquadra della forestale in pensione quando subisce un sequestro preventivo su disposizione del Tribunale di Reggio Calabria: il valore immobiliare sottratto al padrino è di sei milioni di euro. Un patrimonio di gran lunga sproporzionato rispetto alla sua dichiarazione reddituale da forestale.
La sua lunga storia è ripercorsa attraverso sentenze di assoluzione e dichiarazioni di pentiti storici, tra cui Filippo Barreca, Giacomo Lauro e Saverio Morabito. Quest’ultimo racconterà anche di un suo coinvolgimento nelle Brigate Rosse e nel sequestro dello statista democristiano Aldo Moro. Un racconto che, però, non troverà riscontri investigativi. Il boss, inoltre, era tra i principali imputati nel processo per il sequestro di Paul Getty junior, il nipote del magnate inglese Paul Getty, rapito a Roma nel 1973 e liberato dopo 158 giorni di prigionia dietro il pagamento di un riscatto di un miliardo e 700 milioni. Nirta, però, venne assolto per insufficienza di prove. Accusato ma più volte assolto.
Si salvò anche dello storico processo “Condello+202, dove venne “qualificato” come esponente di vertice di “Cosa Nuova”, costituita nel 1991, seguendo le orme di Cosa Nostra. Aveva il ruolo di “paciere” nelle faide. Con la sua diplomazia riuscì a bloccare la seconda guerra di ‘ndrangheta a Reggio Calabria, tra il 1985 e il 1991, che vedeva contrapposti i De Stefano agli Imerti-Condello durante la seconda guerra di ‘ndrangheta tra il 1985 e il 1991. Il suo peso criminale fu determinante anche per mettere fine alle ostilità, nel 1991 a San Luca, tra i Pelle-Vottari e i Nirta-Strangio. Aveva autorità e godeva di grande rispetto nella ‘ndrangheta e da tutte le mafie del mondo, con cui intratteneva stretti rapporti (tra cui con Totò Riina e Bernardo Provenzano). Il primo marzo del 1995, a Bianco, a cadere sotto i colpi di un commando di morte fu il fratello più anziano, Giuseppe, ritenuto il grande capo dei capi. Assieme a lui, ai fratelli Francesco, Sebastiano e Domenico e al cognato Francesco Codispoti, diedero vita alla “Maggiore”, l’organizzazione più potente della storia della ‘ndrangheta. Un curriculum criminale di tutto rispetto che ha spinto il Questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi a vietare i funerali in forma solenne. Le esequie si svolgeranno all’alba di oggi alle ore 6.
Il provvedimento è stato notificato nella serata di ieri dagli agenti del commissariato di Bovalino al sacerdote e ai congiunti del boss defunto. E’ la seconda volta dal suo insediamento che Grassi vieta i funerali di un boss “per motivi di ordine pubblico”. Era già accaduto a giugno dopo la morte a Santo Stefano in Aspromonte del “re della montagna” Rocco Musolino. In precedenza e in più circostanze era stato il predecessore dell’attuale Questore, Guido Longo, a vietare i funerali dei mafiosi in forma pubblica.
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