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CATANZARO – Nessuno spazio per “zone d’ombra”. L’Osservatore Romano, a due giorni dai funerali schoc di Vittorio Casamonica a Roma, dedica un ampio servizio alla vicenda dal titolo “Lo scandalo di un funerale”. Un caso che conserva forti legami con la Calabria, a partire dal fatto che sono molte le inchieste che legano il nome dei Casamonica a quello di importanti cosche della ‘ndrangheta calabrese ed, in particolare, a quelle del Reggino.
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«Da una parte – registra il quotidiano della Santa Sede – la preghiera per i defunti, dall’altra lo spettacolo mediatico, l’ostentazione di potere, la strumentalizzazione chiassosa e volgare di un gesto di elementare pietà umana e cristiana come il funerale che, già di per sé, richiederebbe almeno compostezza, riserbo, dignità e, soprattutto, silenzio. Tutto quello che, invece, il 20 agosto a Roma è mancato alle esequie del “patriarca” di una famiglia, i Casamonica, tristemente famosa, almeno nella capitale d’Italia, per la voracità dei suoi tentacoli nella gestione di affari malavitosi e criminali».
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Il quotidiano d’Oltretevere fa notare che «mentre da parte di alcuni esponenti delle istituzioni civili stanno emergendo le prime ammissioni di responsabilità e di gravi mancanze, l’episodio, ultimo di una serie negativa che da mesi grava sulla città e sulla sua immagine, ha nuovamente catapultato Roma sui media internazionali e ha permesso di avallare i peggiori stereotipi che la rappresentano. Facendo anche intendere, più o meno velatamente, l’esistenza, se non di una connivenza, quanto meno di una qualche acquiescenza da parte della comunità cattolica. Nulla invece di più lontano dalla realtà secondo monsignor Giuseppe Marciante, vescovo ausiliare del settore Est nel quale è compresa la parrocchia di San Giovanni Bosco dove sono state celebrate le esequie”.
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Il quotidiano della Santa Sede, dopo aver riportato le varie prese di posizione dei presuli in questi giorni, riferisce il punto di vista dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, il lazzarista Vincenzo Bertolone, postulatore della causa di canonizzazione del beato Pino Puglisi, vittima della mafia. «Dinanzi al mistero della morte – ha detto Bertolone – la Chiesa non assume alcun atteggiamento di giudizio, ma affida nella preghiera la storia e la vita di ogni defunto alla misericordia di Dio. Nel caso di persone condannate per mafia, o chiaramente affiliate a organizzazioni malavitose, la Chiesa non nega, se richiesta dai familiari, i conforti religiosi, inclusa la celebrazione eucaristica, ma secondo le indicazioni rituali chiede che lo si faccia in forma semplice, senza pompa né fiori né musiche né canti né commemorazioni beatificanti».
«Non c’è dunque spazio per zone d’ombra», osserva il quotidiano della Santa Sede che ricorda le parole del Papa. «Basterebbe ricordare solo alcuni pronunciamenti del Papa, vescovo di Roma, che con nettezza, insieme a non formali appelli alla conversione dei cuori, ha esplicitamente ribadito la radicale incompatibilità tra malavita e Vangelo. Perché – come ha detto il Pontefice nella messa celebrata il 21 giugno 2014 nella Piana di Sibari, in Calabria – coloro che, come i mafiosi, “nella loro vita seguono questa strada di male”, se non si pentono, “non sono in comunione con Dio: sono scomunicati”».
Intanto, due deputati calabresi, Enza Bruno Bossio ed Ernesto Magorno, componente della Commissione parlamentare antimafia, hanno chiesto alla presidente Rosy Bindi di sentire il prefetto di Roma in Commissione.
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