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LAMEZIA TERME – Una errata interpretazione del dispositivo della sentenza ha portato a modificare la sentenza di condanna nei confronti dell’ex consigliere provinciale del Pdl, Gianpaolo Bevilacqua, 47 anni, accusato, nell’ambito dell’operazione “Perseo”, di concorso esterno in associazione mafiosa dei Giampà e per un presunto episodio di estorsione quando avrebbe preteso lo sconto per l’acquisto di tute da ginnastica per alcuni detenuti del clan.
Infatti, il pubblico ministero Elio Romano ha precisato, a margine di un’altra udienza in corso a Lamezia Terme, che l’ex esponente politico è stato condannato per il capo di imputazione B, che corrisponde al concorso esterno in associazione mafiosa, e non per l’episodio dell’estorsione, come erroneamente ricostruito subito dopo la sentenza.
Alla fine della camera di consiglio, il collegio del tribunale di Lamezia (presidente Maria Teresa Carè) ha pronunciato la sentenza con il rito abbreviato condizionato. Bevilacqua è stato condannato, dunque, a 4 anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa, quindi al pagamento di 15.000 nei confronti del Comune che si era costituito parte civile e 10 mila euro nei confronti delle associazioni antiracket e della federazione antiracket. Bevilacqua è stato assolto dall’episodio dell’estorsione perché il fatto non sussiste, mentre è stato condannato anche all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.
Il pubblico ministero Elio Romano aveva chiesto una condanna a dieci anni di carcere, mentre l’avvocato difensore, Francesco Gambardella, aveva sollecitato l’assoluzione.
Il pm Elio Romano, a conclusione della sua richiesta di condanna, ha anche chiesto la trasmissione degli atti alla Procura per le dichiarazioni in aula di Carlo Cortese, il titolare del negozio di articoli sportivi dove Bevilacqua avrebbe acquistato le tute al centro dell’estorsione. L’uomo, infatti, ha un mese fa in aula il commerciante aveva smentito quanto era stato messo a verbale dagli investigatori che lo avevano escusso due volte su quanto l’ex consigliere provinciale gli avrebbe chiesto. E cioè – secondo le accuse – di fargli un buon trattamento sulla merce che acquistava poiché non era per lui ma per alcuni detenuti dei quali non specificava il nome.
In particolare il titolare del negozio nei verbali ha raccontato che nel mese di maggio- giugno 2011, il politico aveva acquistato tre- quattro tute ginniche, svariate paia di calze, nonché alcune maglie per un valore totale di circa 450 euro, ma avrebbe corrisposto soltanto la somma di 250 euro in quanto si sarebbe trattato di abbigliamento sportivo destinato a detenuti.
Il titolare del negozio non avrebbe opposto alcuna resistenza di fronte alla richiesta di Bevilacqua in quanto «l’esplicito», predetto riferimento «alle persone detenute» lo avrebbe portato ad intendere che siffatta richiesta veniva avanzata per conto di esponenti del clan Giampà .
Peraltro — secondo le accuse – il titolare del negozio era «ben consapevole delle frequentazioni del consigliere, avendolo personalmente visto in viale del Progresso davanti al bar Giampà in compagnia di soggetti appartenenti alla famiglia Notarianni». Tutte dichiarazione che però Cortese in aula ha smentito sostenendo che Bevilacqua non gli avrebbe fatto nessuna estorsione depositando appunto lo scontro fiscale, oggetto della perizia calligrafica, sul quale Cortese avrebbe scritto “Bevilacqua regalo per i dipendenti”.
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