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COSENZA – Il pm Pierpaolo Bruni? «Uno che rompe i coglioni», del quale però si conoscono le abitudini: «D’inverno in palestra, d’estate al mare». Uno facile da colpire insomma.
Si sarebbe espresso così il 32enne cosentino Gennaro Presta: con minacce larvate nei confronti del magistrato della Dda chiamato a indagare sulla criminalità organizzata di Cosenza. Lo avrebbe fatto durante un colloquio con l’allora compagno di cella Ernesto Foggetti che, diventato poi collaboratore di giustizia, ha rivelato agli inquirenti il contenuto di quel dialogo tenuto nell’agosto del 2014 con Presta, presunto affiliato del clan Rango-Abbruzzese assegnato solo pochi giorni fa al 41bis. Ironia della sorte, a farlo sbottare in quel modo, la scorsa estate, sarebbe stata proprio la politica del carcere duro adottata da carabinieri e Dda nei confronti dei boss e dei loro più stretti collaboratori.
In quel periodo, infatti – ricorda il pentito – il 41bis era stato inflitto, ad esempio, a Francesco Patitucci, reggente del clan Lanzino. Ma prima e dopo di lui, altri ancora sarebbero scivolati verso il regime di detenzione speciale che riduce al minimo le possibilità di comunicare con il mondo esterno. Da qui, dunque, la potenziale avversione del crimine cosentino nei confronti di Bruni. Un’ostilità della quale si aveva già avuto contezza alcuni mesi fa, grazie alle rivelazioni di un detenuto che – in modo quasi occasionale – aveva appreso in carcere dell’esistenza di un progetto per attentare alla vita del pubblico ministero antimafia. In quel caso, l’agguato avrebbe dovuto compiersi lungo il tragitto che Bruni compie per tornare a casa: sulla Ss107 Silana-Crotonese, nei pressi di una galleria. Una circostanza che sommata alle indicazioni del pentito, ha spinto poi gli organi competenti a rafforzare la protezione attorno al pm, impegnato in numerose inchieste e processi contro la malavita cosentina. L’ultima, in particolare – nome in codice “Nuova famiglia-Doomsday” – mira a ricostruire proprio l’ascesa della borgata mista zingari-italiani a cui apparterrebbe Presta, in precedenza legato alla famiglia “Bella-bella” e poi transitato nel gruppo che ne aveva raccolto l’eredità criminale. Anzi, di quel nuovo corso, nato dalla rinnovata alleanza tra le due etnie e preceduto dall’estromissione cruenta degli stessi “Bella-bella”, ancora Foggetti indica Presta come uno dei promotori e ideatori insieme a Maurizio Rango, il presunto boss della consorteria, anch’egli oggi al 41 bis. E non solo. Finito agli arresti con qualche mese d’anticipo rispetto ai suoi complici, Gennaro Presta si sarebbe dato da fare anche dietro le sbarre. È sempre Ernesto Foggetti a immortalarlo, addirittura, come «il vero direttore del carcere di Cosenza», nel senso che a suo dire, «tutti i detenuti erano ai suoi ordini».
Avrebbe gestito lui, inoltre, le notizie che entravano e uscivano dal penitenziario nel quale rivestiva il ruolo di “spesino”: e cioè, l’uomo incaricato dalla direzione di raccogliere le ordinazioni di spesa degli altri prigionieri e di distribuire loro i prodotti. Così facendo, dunque, avrebbe avuto contatti anche con i detenuti dell’Alta sicurezza. Con ogni probabilità, sono state proprio queste rivelazioni – unitamente agli anatemi scagliati all’indirizzo di Bruni – a suggerire agli inquirenti di spedire anche lui al 41bis.
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