2 minuti per la lettura
VIBO VALENTIA – Verdetto completamente ribaltato rispetto a quello di primo grado. La corte d’appello di Catanzaro presieduta dal giudice Maria Vittoria Marchianò (a latere Anna Maria Saullo e Alessandro Bravin), in riforma della sentenza emessa nel 2014 dal Tribunale di Vibo, ha condannato gli esponenti del clan Soriano di Pizzinni di Filandari.
I giudici hanno inflitto condanne per un totale di 65 anni e 3 mesi di reclusione e 26000 euro di multa nei confronti di sei imputati su otto. Ritenuti colpevoli Leone Soriano, il boss capofamiglia, condannato a 15 anni e sei mesi; Carmelo Giuseppe Soriano (10 anni e 6 mesi e 13mila euro di multa); Francesco Parrotta (9 anni e 6 mesi) Giuseppe Soriano (10 anni e 8 mesi e 13mila euro di multa); Graziella Silipigni (3 anni e 4 mesi, e 800 euro di multa); Gaetano Soriano (15 anni e 9 mesi). La Silipigni è stata condannata anche al risarcimento nei confronti della parte civile, il pasticciere Domenico Deodato, di 3000 euro nonché alla rifusione delle spese processuali liquidate in 2.400 euro. Altri 1.200 euro dovrà pagarli Giuseppe Soriano. Assoluzioni confermate infine per Graziella D’Ambrosio e Rosetta Lopreiato.
La Corte ha riconosciuto, per la prima volta, l’esistenza dell’associazione mafiosa per i cinque componenti maschi della famiglia condannati. Le altre accuse sono, armi, danneggiamenti, estorsioni consumate e tentate con l’aggravante delle modalità mafiose. Nel primo grado di giudizio erano state sei le assoluzioni e solo due le condanne: un anno e 8 mesi per il boss Leone Soriano, e 5 anni anni e sei mesi per il nipote Giuseppe Soriano.
L’allora Tribunale collegiale di Vibo Valentia presieduto dal giudice Fabio Regolo (trasferito a giugno alla Procura di Catania) aveva assolto il 28 maggio 2014 tutti i componenti del clan Soriano di Filandari – ritenuto dagli inquirenti fra i più temuti del Vibonese – dall’accusa di associazione mafiosa, a fronte dei 107 anni complessivi di reclusione chiesti dal pm della Dda di Catanzaro Simona Rossi. Le motivazioni della sentenza, contenute in 70 pagine, avevano poi offerto un’inedita prospettazione ed interpretazione in tema di reati di mafia. Secondo il Tribunale, infatti, le organizzazioni mafiose agirebbero “nel silenzio, in via indiretta, con toni e modalità allusive e non certo in modo fragoroso ed evidente” come il clan Soriano – definito in sentenza “di piccolo cabotaggio” – a cui venivano attribuite “bombe, colpi di pistola, richieste esplicite di denaro, minacce telefoniche ed epistolari a giornalisti”, circostanze queste ritenute invece dal gip distrettuale di Catanzaro prove “evidenti” dell’associazione mafiosa tanto da aver a suo tempo disposto il giudizio immediato per tutti gli imputati.
A nulla per il Tribunale sarebbero poi servite le numerose intercettazioni ambientali avviate dai carabinieri guidati dal maresciallo Nazzareno Lopreiato sotto il coordinamento del pm della Dda Giampaolo Boninsegna, e le testimonianze di imprenditori e carabinieri stessi. Contro tale sentenza, il pm distrettuale Camillo Falvo aveva presentato ricorso in appello, e il sostituto procuratore generale, Raffaella Sforza, nella sua requisitoria dello scorso marzo aveva reiterato la richiesta di condanna a 107 anni per tutti gli imputati.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA