X
<
>

Share
3 minuti per la lettura

COSENZA – L’appartamento di San Lucido di proprietà dei genitori di Roberta Lanzino, la studentessa di Rende, violentata e uccisa il 26 luglio del 1988, è stato messo a soqquadro da ignoti alla vigilia della sentenza del processo per il delitto, prevista per domani. Il fatto è avvenuto probabilmente la scorsa notte, quando qualcuno si è introdotto in casa senza portar via nulla e lasciando solo disordine. Già all’inizio del processo lo stesso appartamento era stato dato alle fiamme.

LE NUOVE INDAGINI SU “IGNOTO 1”

Il processo per l’omicidio della studentessa violentata ed uccisa a Torremezzo di Falconara Albanese il 26 luglio 1988, è alle battute finali. Per domani è prevista la sentenza. Oggi invece è toccato alla difesa. «La prova del dna è un dato scientifico che dimostra solo che Franco Sansone non si trovava in quel momento su quel terreno. Fatto postumo rispetto al momento e al luogo dell’omicidio e della violenza». A dirlo è stato l’avvocato Ornella Nucci, legale della famiglia Lanzino, durante il suo intervento nel processo a carico di Franco Sansone, unico imputato per l’omicidio di Roberta Lanzino. «Vi chiedo di valorizzare l’esito della perizia dei Ris – ha poi aggiunto l’avvocato Nucci – perché dice molte cose, anche se non vi è corrispondenza con il dna dell’imputato e di tener conto di elementi importanti emersi durante il processo. In primo luogo, Roberta è stata sgozzata e il medico legale ha detto, qui in aula, che se la recisione della carotide fosse avvenuta dove è stata ritrovata, ci sarebbero state tracce di sangue evidenti, che di fatto non c’erano. Più persone hanno violentato e ucciso Roberta, dato che emerge dalla perizia dei Ris. Il maggiore Romano, infatti, in udienza ha riferito con assoluta chiarezza che nei campioni esaminati ci sono più profili, uno predominante e l’altro minoritario, che indica la presenza di almeno due individui, ma non è possibile stabilire con precisione quante persone perché le tracce del profilo minoritario sono deboli. Nessuno, inoltre, sempre da quello che è emerso in udienza dalla deposizione del maggiore Romano, può stabilire se quella mistura di sangue e sperma si sia creata nel medesimo istante». Elementi che secondo l’avvocato Ornella Nucci devono essere presi in considerazione nonostante la forza probatoria della prova scientifica.

«Non siamo certi che la violenza abbia preceduto l’omicidio – ha continuato Nucci – e se il dna dimostra che Sansone non ha commesso la violenza, di certo non dimostra che non ha commesso l’omicidio. Il dna non esclude, bensì include altre persone, altre deduzioni». L’avvocato Nucci, a conclusione dell’arringa, ha chiesto la condanna di Franco Sansone. 

Nella scorsa udienza, il pm aveva chiesto l’assoluzione dell’unico imputato, Franco Sansone, dopo che il test sul dna estrapolato dal liquido seminale isolato dal terriccio che stava sotto il corpo della studentessa ha escluso la compatibilità con quello di Sansone. 

DOPO IL DNA CHIESTA L’ASSOLUZIONE PER L’IMPUTATO

Per Sansone ed il padre, Alfredo, il pm ha comunque chiesto la condanna per l’omicidio di Luigi Carbone, vittima, secondo l’accusa, di “lupara bianca” ed il cui cadavere non è mai stato trovato, e legato a Sansone in affari illeciti. Per lo stesso reato è stata chiesta l’assoluzione per un fratello di Franco Sansone, Remo.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE