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CALTANISSETTA – «Salvatore Vitale mi disse che aveva un appartamento in via D’Amelio e che era stato utilizzato dai responsabili dell’attentato per alcuni appostamenti nei giorni precedenti la strage». Lo ha rivelato il collaboratore di giustizia calabrese Marco Marino, ex affiliato alla ‘ndrangheta, deponendo nel quarto processo per la strage di via D’Amelio, in cui trovò la morte il giudice Paolo Borsellino, in corso davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta e che vede imputati per strage i boss mafiosi di Brancaccio Salvo Madonia e Vittorio Tutino e per calunnia i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci.
Marino, che fu detenuto insieme a Vitale, mafioso condannato all’ergastolo per il sequestro e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, deceduto nel 2012 nel carcere palermitano di Pagliarelli, ha aggiunto: «Vitale temeva che Spatuzza fosse dichiarato attendibile e così poteva tirarlo in ballo per la strage».
Il processo riprenderà il 2 aprile, quando i pentiti Francesco Raimo e Marco Marino saranno interrogati dai difensori degli imputati.
Marino non è il primo collaboratore di giustizia della ‘ndrangheta che fa dichiarazioni sulla storia delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, anche Consolato Villani, ad esempio, depose chiarendo alcuni aspetti della strategia mafiosa e tirando in ballo anche i servizi segreti deviati (LEGGI LA NOTIZIA SUL COINVOLGIMENTO DEI SERVIZI SEGRETI DEVIATI NELLE STRAGI DI CAPACI E VIA D’AMELIO).
LA STRAGE E LE VITTIME – La strage di via D’Amelio fu un attentato organizzato da Cosa Nostra in Sicilia a Palermo il 19 luglio 1992. Nell’attentato venne fatta esplodere una auto imbottita di esplosivo sotto l’abitazione della madre del giudice Paolo Borsellino quando lo stesso magistrato, diventato il simbolo della lotta alla mafia dopo la morte di Giovanni Falcone, si trovava nei pressi del portone di ingresso. Nell’esplosione persero la vita oltre al magistrato anche i cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l’esplosione, in gravi condizioni.
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