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VIBO VALENTIA – «E’ stata un’operazione frutto del lavoro di più organi di giustizia: Squadra Mobile di Vibo, di Catanzaro e Sezione criminalità organizzata, quest’ultima rafforzata nella sua consistenza organica e qualitativa che tiene i rapporti con tutti i distretti».

Queste le parole del procuratore distrettuale Vincenzo Lombardo in conferenza stampa alla Questura di Vibo per illustrare il frutto del lavoro investigativo condotto dai dirigenti Orazio Marini (che ereditò l’inchiesta dal collega Antonio Turi) e Rodolfo Ruperti capo dello Sco, che ha portato all’emissione di cinque ordinanze di custodia cautelare (di cui tre in carcere e due con obbligo di dimora) emesse dal gip di Catanzaro Assunta Maiore a carico di Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo, Raffaele Moscato, Annunziato Patania e Michele Fiorillo, questi ultimi due accusati solo di favoreggiamento nei confronti dei primi tre. Il magistrato della Dda ha poi parlato di indagine “particolarmente delicata in cui non erano presenti dichiarazioni se non come elementi di contorno di una vicenda della quale conosciamo già molti aspetti”, vale a dire la faida tra i Patania di Stefanaconi e il gruppo dei piscopisani ai quali apparterrebbero i tre destinatari della misura detentiva ed accusati di omicidio aggravato dalle modalità mafiose e dai futili motivi, detenzione illegale di arma, anche da guerra, ricettazione e rapina. Un lavoro certosino, ha affermato ancora Lombardo, “condotto a sintesi grazie all’impegno della Polizia della Dda nella persona del pm Camillo Falvo, basato su una serie di captazioni ambientali, filmati video e controlli dei tabulati telefonici sia nei momenti antecedenti l’assassinio del boss Fortunato Patania”, capostipite del clan di Stefanaconi, il 18 settembre del 2011, che nelle fasi immediatamente successive. A questo si sono aggiunti “i preziosi contributi offerti dai collaboratori di giustizia Loredana Patania, nipote del boss ammazzato in risposta all’omicidio dell’agricoltore Michele Mario Fiorillo, avvenuto due giorni prima, e di Daniele Bono”.

Sempre il procuratore distrettuale ha evidenziato la necessità che tutti gli episodi emersi in questa indagine denominata “San Michele”, dal nome del patrono di Piscopio, frazione di residenza degli indagati, esigano “di una visione unitaria nell’ambito di una faida che ha mietuto sei morti in pochi mesi” sottolineando,in tal modo, la necessità della presenza di “giudici esperti nel settore della criminalità organizzata. Presi singolarmente – ha aggiunto unitamente all’aggiunto Giovanni Bombardieri – non si avrebbe infatti un quadro d’insieme completo”.

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