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REGGIO CALABRIA – La Direzione investigativa antimafia ha eseguito un decreto di confisca emesso dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale di Reggio Calabria, presieduta da Ornella Pastore nei confronti di Giuseppe Malara, 60enne di Reggio Calabria, imprenditore operante nel settore edilizio. La Dia ha confiscato beni per 25 milioni, tra i quali una ditta individuale, 73 immobili e disponibilità finanziarie aziendali e personali, ammontanti a circa 500 mila euro.
L’uomo, nel 2007, insieme ad altre 37 persone, era stato arrestato in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione “Gebbione” per estorsioni consistenti sia nel pagamento di mazzette, sia nelle fornitura di beni e servizi da parte di imprese controllate dagli associati, ma anche attraverso la protezione di imprenditori (LEGGI i dettagli dell’operazione).
I giudici, nel decreto con cui hanno disposto la confisca, hanno affermato che «è vero che Malara, nel procedimento penale a suo carico, è stato assolto dall’imputazione contestata. Tuttavia, stante l’autonomia del giudizio penale di condanna rispetto a quello di prevenzione, ritiene il collegio che residuino in linea di fatto indizi di una sua contiguità e cooperazione con il sodalizio capeggiato dai fratelli Labate, operante nella zona sud della città di Reggio Calabria». Dalle indagini, riferisce la Dia di Reggio Calabria, Giuseppe Malara è emerso quale «imprenditore colluso che entra in rapporto con l’associazione mafiosa tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti, per l’imprenditore nell’imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell’ottenere risorse, servizi o utilità». La confisca dei beni, sempre secondo la Dia, è il risultato di un’articolata attività d’indagine patrimoniale, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, diretta dal procuratore Federico Cafiero De Raho, svolta dal Centro operativo reggino e finalizzata ad aggredire i patrimoni mafiosi illecitamente accumulati.
«Le investigazioni – ha riferito ancora la Dia – si sono concentrate sulle modalità di acquisizione dell’ingentissimo patrimonio societario e personale di Malara che, negli ultimi anni, ha incrementato notevolmente la sua attività imprenditoriale. Gli accertamenti hanno evidenziato l’evidente sproporzione tra gli investimenti effettuati sin dalla fine degli anni ’70 rispetto a quanto fiscalmente dichiarato. Il tribunale, a tale riguardo, ha rilevato che si può affermare, con ragionevole certezza, che per il periodo esaminato dalle indagini, tra il 1978 ed il 2011, il nucleo familiare di Malara abbia vissuto al di sopra delle proprie possibilità economiche accumulando, correlativamente, un patrimonio illecito se riferito alle entrate ufficiali».
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