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RICADI – La determina è la numero 3 del 6 febbraio scorso. Ed è esplosiva tanto da essere inviata alla commissione straordinaria del Comune, alla Prefettura, alla Procura e all’Agenzia del Demanio: il Comune ha infatti annullato il permesso a costruire all’imprenditore edile Pino Giuliano, ex sindaco del Comune costiero, sciolto per infiltrazioni mafiose (LEGGI LA DECISIONE DEL MINISTERO e LE MOTIVAZIONI DELLO SCIOGLIMENTO). La vicenda riguarda il progetto di ristrutturazione e ammodernamento dell’imponente complesso turistico “Baia del sole” ubicato in località “Torre Ruffa” a ridosso del mare.
Il motivo? Secondo quanto emerso dagli accertamenti dell’area tecnica dell’ente, guidata dal responsabile Pasquale Lagadari, i titoli edilizi n. 7 del 2013 e 105 dello stesso anno, sono «manifestamente viziati, in quanto rilasciati sulla base di presupposti illegittimi e fuorvianti e pertanto vanno annullati in autotutela». Parte dell’area interessata della struttura ricettiva è di proprietà del Demanio e una seconda appartiene al Comune e questo lo si rileva dalla nota del responsabile pro-tempore del servizio tecnico, Nicola Carnuccio che aveva comunicato all’imprenditore e alla moglie l’avvio del procedimento tendente all’annullamento in autotutela dei titolo autorizzativi in quanto, a seguito di un riesame degli atti era emersa questa circostanza. Giuliano a quel punto aveva presentato le sue controdeduzioni e, successivamente, ulteriori documenti che però «non erano valse a superare i profili di illegittimità».
In buona sostanza, in relazione ai manufatti realizzati sull’area demaniale dello Stato, la documentazione «prodotta per dimostrare che essi insisterebbero su terreni di proprietà privata degli istanti è costituita da atti tra privati, ma non vi è in essa alcuna traccia di provvedimenti adottati dal Demanio per disporre la sdemanializzazione di tale area e la successiva vendita. In più non esisteva alcuna pronuncia del consiglio comunale volta a disporne la sdemanializzazione». Il 13 ottobre dello scorso anno era stato trasmesso un atto ricognitivo, rogato dal notaio Marcella Clara Reni, attraverso il quale, sulla base di un attestato rilasciato dall’ingegnere Sisto Albino, del 19 febbraio dello stesso anno – qualificatosi arbitrariamente quale Responsabile del servizio urbanistica dell’ente, quando invece lo stesso, a seguito di decreto del sindaco (proprio Giuliano, ndr), aveva con l’Ente un incarico di collaborazione – l’imprenditore aveva «proceduto all’identificazione catastale di alcuni immobili, dichiarandoli di proprietà privata, comprendendo in essi anche l’immobile fino ad allora identificato in atti catastali come strada comunale: l’atto ricognitivo era stato rogato dal notaio utilizzando quale presupposto anche l’attestato di Sisto Albino, in realtà radicalmente nullo perché adottato da soggetto privo di qualsiasi potere al riguardo e come tale privo di qualsiasi efficacia».
L’ufficio tecnico ha poi riscontrato che alcuni fabbricati oggetto del condono «non rispettavano la prescritta distanza di 30 ml dall’area demaniale» e nella cartografia di fabbricati abusivi non era stata mai presentata domanda di condono edilizio». Quindi, si trattava di beni intestati al Demanio dello Stato e, come tali, inalienabili, non espropriabili, non suscettibili di formare oggetto di diritti in favore di terzi e non usucapibili». Ma per «tentare di aggirare questo ostacolo insormontabile, Giuliano aveva sostenuto che, in seguito alla costruzione di un muro d’argine in destra idrografica del torrente Ruffa o Vaticano (confinante con i loro terreni), sarebbero stati modificati gli assetti delle superfici catastali, con la conseguente rinuncia dell’ente pubblico alle particelle rimaste escluse dall’argine. Una tesi che non ha colto nel segno, in quanto le opere di sistemazione idraulica del tratto terminale del torrente non hanno mutato la natura e la destinazione pubblica delle aree interessate, con la conseguenza che non vi è mai stata alcuna sdemanializzazione tacita».
Da qui, pertanto, la decisione di annullare il permesso a costruire e di disporre, tra le altre cose, l’immediata interruzione di ogni attività edilizia in essere all’interno del villaggio, «fatta salva l’adozione di ogni necessario ed ulteriore provvedimento finalizzato ad imporre, nelle forme di legge, la demolizione delle opere abusive ed il ripristino dei luoghi».
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