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CATANZARO – Da Cutro alla conquista della Calabria prima e delle regioni del Nord Italia dopo. Nicolino Grande Aracri voleva diventare il “re” della ‘ndrangheta. O almeno uno dei protagonisti principali. E per farlo era riuscito a stringere rapporti ovunque. Fino a creare la nuova “provincia” di ‘ndrangheta, struttura del tutto simile a quella già attiva a Reggio Calabria.
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Dalla cittadina alle porte di Crotone si era spinto a conquistare tutto il Crotonese, grazie anche all’omicidio di Giovanni Dragone e agli accordi con i Cirotani, storici capi della criminalità organizzata calabrese, ma pronti a riconoscere la nuova leadership. E poi via alla conquista del Nord Italia, come hanno precisato gli inquirenti nel corso della conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro per illustrare il provvedimento di fermo di 37 persone legate al clan.
L’impero messo in piedi da “Mano di gomma” è vastissimo. Comprende tutta la provincia crotonese e la fascia ionica del Catanzarese fino a Squillace, il Lametino, la Sibaritide e parte del Vibonese. Tutti i “locali” che avevano aderito al progetto facevano riferimento al super boss, attraversando ben quattro province.
E per allargare i confini e stringere rapporti, ha spiegato il procuratore Vincenzo Antonio Lombardo, gli emissari di Grande Aracri partecipavano ai matrimoni delle cosche di San Luca o dei Bonavota di Vibo. Amicizie, alleanze, rapporti, ma sempre collegati ad un unico vertice. Capace di lasciare anche una piccola autonomia, ma comunque di ricondurre sempre a casa di Nicolino Grande Aracri.
Così, nei nuovi confini della “provincia” con a capo Nicolino Grande Aracri c’erano, secondo Lombardo, gli esponenti della cosca Giampà di Lamezia Terme, i Bonavota e i loro alleati a Vibo Valentia, i clan della Sibaritide.
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