X
<
>

Share
2 minuti per la lettura

VIBO – Era prevista nel pomeriggio la sentenza sulla “mafia di Ariola” ma è arrivata a tarda notte pochi minuti prima che scadessero i termini di fase e che, conseguentemente, gli imputati, accusati di far parte di uno dei più potenti clan di ‘ndrangheta delle preserre vibonesi, tornassero in libertà. 

Una corsa contro il tempo quella del Tribunale collegiale di Vibo Valentia che alla fine è riuscita a rispettare i termini emettendo una sentenza con  14 condanne per un totale di 167 anni, 6 assoluzioni e 7 prescrizioni. 

GUARDA LE CONDANNE NEL DETTAGLIO

Sono le 23.54 quando il presidente Lucia Monaco (a latere i giudici Vincenza Papagno e Beatrice Boccia) dopo 36 ore di camera di consiglio, legge, in un’aula bunker gremita ed in silenzio, il dispositivo che pone fine a circa due anni di processo scaturito dall’operazione “Luce nei Boschi” che vedeva imputati i presunti vertici ed affiliati della “Mafia di Ariola” accusati a vario titolo di associazione di stampo mafioso finalizzato alla commissione di omicidi, estorsioni, danneggiamenti e alla detenzione di armi e di ingenti quantità di traffico di droga. 

Accolte in gran parte le richieste formulate dal pm distrettuale Marisa Manzini che aveva coordinato l’inchiesta che, in due distinti momenti del 2012, aveva portato all’arresto di oltre 40 persone da parte della Squadra Mobile di Catanzaro. 

Nella sua requisitoria il pm Manzini aveva sostenuto come il dibattimento avesse offerto «ampia prova delle accuse mosse confronti degli imputati». Quindi la genesi del gruppo, all’inizio degli anni ’80, il controllo delle fiorente zona delle Preserre, i contrasti tra le due anime, Maiolo da un lato e Loielo dall’altro, quindi la faida fino all’ascesa del nuovo «pericoloso sodalizio con a capo Bruno Emanuele» che, dopo l’uccisione dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo, dal 1996 in poi reggenti della cosca, acquista praticamente il potere sulla zona con il placet, secondo quanto emerso nelle indagini, di Antonio Altamura, soprannominato “il sindaco”, figura di congiunzione tra il vecchio e il nuovo. E l’attività investigativa, ha ricordato il pm, si è sviluppata proprio dopo quel duplice omicidio del 22 aprile del 2002 ed è andata a ritroso, individuando la presenza dell’organizzazione comunale nella quale vi erano Antonio Altamura, «il cui ruolo è rimasto immutato, e i Maiolo-Loielo in precedenza unica entità».  

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE