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COSENZA – Il nuovo business della criminalità organizzata potrebbe essere quello dei forni crematoi. In Calabria non ce ne sono, ed è per questo che il settore potrebbe trasformarsi in una attività redditizia. A rivelarlo – come scrive Marco Cribari sul Quotidiano – è una pentita, Edyta Kopaczynska, già moglie del boss Michele Bruni, capo del clan “Bella-bella”. La donna non parla solo per sentito dire, dato che l’idea in questione, a suo dire, frullava proprio nella testa del suo defunto marito che come emerge dall’inchiesta “Telesis” aveva sempre mostrato particolare interesse verso il business del caro estinto.
«Nel nostro territorio – spiegava Edyta ai magistrati nel 2013 – non esiste un forno crematorio che serve anche per smaltire le casse da morto, i fiori e quant’altro concerne i servizi di onoranze funebri. Il più vicino ha sede in Campania pertanto Michele e Patitucci, stavano organizzando un investimento, finanziato dagli imprenditori del settore».
Nelle intenzioni, la struttura funeraria avrebbe dovuto sorgere a Rende, tant’è che, a quanto pare, un progetto di questo tipo era già stato presentato all’attenzione degli uffici tecnici comunali. In caso di buona riuscita dell’operazione, per i clan sarebbe stato un affare colossale: il modo più giusto per brindare alla pace tra bande un tempo contrapposte. Bruni e Patitucci, infatti, erano divisi storicamente da un pregiudizio antico: l’omicidio del papà di Michele, Francesco Bruni – il “Bella bella” originale – eseguito nel luglio del 1999 dal gruppo criminale di Patitucci, il cosiddetto clan guidato da Ettore Lanzino.
L’affare poi non andò in porto per diversi motivi: l’arresto di Bruni, avvenuto a dicembre del 2010, seguito dalla sua morte, sette mesi più tardi, per via di un male incurabile che lo colse in carcere. Poco tempo dopo, anche il suo presunto “socio” fini dietro le sbarre nell’ambito di un’operazione antimafia – nome in codice “Vulpes” – e, a tutt’oggi, Francesco Patitucci si trova ancora lì. A compromettere in via definitiva la riuscita dell’operazione, in ultimo, ci pensò la Commissione antimafia, piombata nel municipio rendese alla ricerca (poi risultata vana) di infiltrazioni mafiose. Tra i vari documenti spulciati dai commissari, prima che questi passassero nelle mani della Dda, c’erano anche quelli relativi al progetto del forno crematorio. Progetto dietro il quale, sostiene Edyta, di cela il sogno infranto della malavita cosentina.
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